Come vengono organizzate le evacuazioni ora che la battaglia attorno ad al Shifa è feroce

Micol Flammini

Quante vie di fuga esistono per mettere al sicuro i palestinesi? I corridoi nella Striscia di Gaza e le contraddizioni di Netanyahu

Benjamin Netanyahu dice e si contraddice. Pur di  legarsi ancora di più ai suoi alleati di governo, va contro ai suoi alleati internazionali. Ha riunito i sindaci dei kibbutz colpiti dai terroristi di Hamas il 7 ottobre e ha detto che l’esercito israeliano continuerà a controllare la Striscia di Gaza anche dopo la guerra. Non aveva detto questo qualche ora prima a Fox News e non sono questi i piani a cui stanno lavorando gli Stati Uniti, che sono preoccupati per le vittime civili ma continuano a sostenere Israele, nonostante Netanyahu dia l’impressione di mettercela tutta pur di indispettire il suo alleato vitale. Il premier israeliano ha detto che non ci sarà nessuna forza internazionale a controllare Gaza e riguardo ad Abu Mazen, il leader di Fatah che governa screditato la Cisgiordania, non l’ha neppure menzionato. Eppure sono queste le proposte americane, complesse ma necessarie perché il vuoto di potere a Gaza è pericoloso: bisogna già pensare  a riempirlo. Abu Mazen ha detto di essere pronto, la vede come la sua  sopravvivenza politica. 

 

Dentro Gaza però i conti si fanno con l’oggi, con la battaglia da portare avanti e che si fa sempre più feroce attorno all’ospedale al Shifa, dove secondo l’esercito e secondo le confessioni di alcuni terroristi si nascondono i leader di Hamas, anche il capo Yahya Sinwar, il più ricercato, l’organizzatore accurato e spietato del pogrom del 7 ottobre. Ieri l’esercito ha preso il controllo dell’ufficio di suo fratello. Dentro Gaza i conti si fanno anche con le difficoltà di evacuare i civili. La prima via di fuga a cui pensare è quella da nord a sud di Wadi Gaza, è il limite della sicurezza, finora  centinaia di migliaia di palestinesi si sono messi in cammino  per il corridoio sorvegliato dall’esercito israeliano. La parte settentrionale di Gaza è la più popolosa, i cittadini sono stati avvisati o per telefono o con dei volantini scritti in arabo lanciati dal cielo che contengono le informazioni: dove e quando passare per l’arteria principale della Striscia chiamata Salah al Din, lungo la quale ci si muove soltanto a piedi. La salvezza da nord a sud passa da qui, per Hamas l’evacuazione è un tradimento, ieri alcuni video girati all’ospedale al Nasser di Rimal mostravano gli uomini di Hamas sparare  ai cittadini che cercavano di fuggire  dopo l’ordine di evacuazione. Una volta a sud, bisogna cercarne altre di vie di fuga. Il valico di Rafah è il punto di connessione con l’esterno, da dove sono passati più di ottocento camion con dodicimila tonnellate di aiuti umanitari, ieri ne sono entrati sessantacinque, con il coordinamento di Israele, Egitto e Nazioni Unite.

 

Ma non è abbastanza, è un piano che va ampliato,  bisogna aumentare gli aiuti e una soluzione potrebbe essere in mare. Se ne è discusso a Parigi giovedì e presto potrebbe essere aperta una via marittima che parte dalla città di Larnaca a Cipro, lo stato membro dell’Ue più vicino a Gaza, a 370 chilometri di distanza. La capacità del porto cipriota è di duecentomila tonnellate di aiuti umanitari. Ma a Gaza bisogna arrivarci e poi trovare il modo di attraccare: la costruzione di un’infrastruttura portuale a largo della Striscia era iniziata nel 2016, ma è stata abbandonata. Va quindi trovata un’infrastruttura, o un porto galleggiante, bisogna superare i problemi diplomatici e di sicurezza. Per aprire Rafah ci sono volute due settimane. Per la via marittima non si conoscono i tempi, ma la posizione di tutti è che bisogna fare di più, trovare più vie di fuga.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.