parla l'esperto

“La guerra più dura per Israele deve ancora arrivare”. Intervista a Lerman

Giulio Meotti

Il vicepresidente del Jerusalem Institute for Strategy and Security spiega come sarà la seconda fase dell'operazione israeliana nella Striscia di Gaza

Nel 2014, l’esercito israeliano aveva avvisato il governo che la riconquista di Gaza sarebbe costata la vita a centinaia di soldati e ci sarebbero voluti  cinque anni. Anche dopo il 7 ottobre, esperti avevano avvertito che l’invasione di terra sarebbe stata “molto, molto complicata”. In una settimana e mezza di guerra urbana contro un nemico che ha avuto quindici anni per prepararsi, Israele ha perso meno soldati che nell’atto finale della seconda guerra del Libano nel 2006. E’ di ieri l’annuncio israeliano di una pausa di quattro ore ogni giorno per consentire l’ingresso di aiuti umanitari e uscita dei civili.  “La guerra a Gaza sta andando meglio del previsto”, dice al Foglio Eran Lerman, vicepresidente del Jerusalem Institute for Strategy and Security, uno dei massimi esperti israeliani di sicurezza, già nel Consiglio di sicurezza del governo e per vent’anni nell’intelligence militare dell’esercito israeliano. “Abbiamo perso 35 soldati da quando è iniziata la guerra e siamo una società che ripone molto peso su ogni singola vita umana, ma stiamo combattendo nell’area più densa del mondo e Hamas ci sta aspettando da anni” ci spiega Lerman. “I risultati finora dicono che l’intelligence ha recuperato dopo la catastrofe del 7 ottobre. Ci siamo illusi che Hamas fosse una forza di governo e che avremmo potuto ritirarci dietro Iron Dome. I risultati a oggi sono importanti”. 


La parte più difficile però deve ancora arrivare. “Per distruggere il quartier generale di Hamas sotto l’ospedale Shifa ci sarà bisogno del coordinamento internazionale con l’evacuazione dei malati, mentre Hamas sta usando i pazienti come scudi umani. E poi ci sono i negoziati fra America, Qatar, Egitto e Hamas per gli ostaggi. L’opinione pubblica in Israele è forte sulla questione degli ostaggi: perché dobbiamo fare un cessate il fuoco se non ci ridanno neanche vecchi e bambini?”.  Quando si dice “distruggere Hamas” non è chiaro. Parliamo di decine di migliaia di  combattenti. “Devono deporre le armi e noi capire chi ha partecipato alle atrocità del 7 ottobre. Oppure combatteranno fino all’ultimo uomo o saranno scortati fuori come facemmo in Libano nel 1982 con Arafat. Non rimarranno come governo o esercito dentro Gaza”. E dopo? “L’esercito avrà un controllo temporaneo di Gaza, ma poi dovremo essere sostituiti da un’altra entità. Israele su questo parla con gli americani e gli altri attori regionali. Ma non sarà domani, la campagna militare sarà lunga”. Ora arriva la fase due. “Il nord cadrà in poche settimane, siamo già dentro Gaza. Poi arriverà la seconda fase sull’ospedale e il sud e comporterà mesi, perché nel sud ci sarà una guerriglia di controinsurrezione di Hamas in mezzo alla popolazione, una guerra urbana. Sarà  lunga. Non sarà dunque una sola guerra. Israele dovrà entrare prima nei tunnel sotto l’ospedale di Gaza, non potremo bombardare, per via degli ostaggi”. 


Per ora, il fronte occidentale tiene. “Siamo preoccupati della pressione del mondo arabo, le piazze nel mondo occidentale, i dissidi nel Partito democratico americano, ma se vediamo le cancellerie occidentali c’è un sostegno all’operazione d’Israele a Gaza. Antony Blinken qui ha evocato la Shoah. Speriamo che il Qatar cacci i capi di Hamas e che la Turchia ospiti questi nazisti è al di là della mia comprensione per un membro della Nato”. La vita israeliana nel sud tornerà solo se la situazione a Gaza cambierà drammaticamente. “Dovrà esserci una nuova buffer zone fra Gaza e Israele. C’era, ma abbiamo pagato l’errore di pensare che non servisse”.


Israele col 7 ottobre è piombato in una situazione unica. “Nessun paese occidentale ha mai affrontato un pericolo simile, la presenza di una organizzazione terroristica sulla soglia di casa. Forse il paragone è soltanto con l’Ucraina. Il terrorismo islamista non vuole soltanto Israele, vuole la Spagna ma anche Otranto, che fu ottomano. Hanno fantasie di riconquista e se Israele non fermasse oggi questa combinazione di islamismo e totalitarismo, il mondo sarebbe in pericolo. Perché per loro è come un domino, lo dicono forte e apertamente”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.