Foto di Ohad Zwigenberg per Ap, via LaPresse 

L'editoriale del direttore

Scegliere da che parte stare significa ricordare che la libertà che difende Israele è anche la nostra

Claudio Cerasa

È passato un mese dal massacro di civili israeliani da parte di Hamas. Finché Gaza sarà dominata dai terroristi a essere in pericolo di vita non sarà solo lo stato ebraico ma anche tutto ciò che rappresenta: democrazia, diritti e libertà

Il massacro di civili subito da Israele lo scorso 7 ottobre, il più importante sterminio di ebrei dai tempi dell’Olocausto, ha costretto la comunità internazionale a scegliere da che parte stare. Nel caso specifico, scegliere da che parte stare non significa essere retoricamente a favore dell’esistenza di Israele, e neppure essere genericamente a favore del suo diritto di difesa, ma significa ancora più concretamente essere disposti o no a riconoscere che la nuova guerra che ha travolto il medio oriente nasce come azione, nasce da un’ideologia, nasce da una furia omicida che ha come obiettivo non la distruzione e l’annientamento di un singolo paese ma la distruzione e l’annientamento di un intero popolo: gli ebrei.

Ai tempi dell’Olocausto, vennero spazzati via circa due terzi della comunità ebraica europea. Ai nostri tempi, invece, il sogno di coloro che non si ribellano alla dottrina di Hamas, e che chiedono anche nelle manifestazioni di piazza di “liberare la Palestina dal fiume al mare”, è ancora più devastante. E’ quello di spazzare via Israele dalla mappa geografica, mettendo in fuga la metà della popolazione ebraica del mondo che oggi si trova in Israele. Scegliere da che parte stare, ripensando al 7 ottobre, significa molte cose.

Significa avere chiaro chi è l'aggredito e chi è l'aggressore. Significa avere chiaro chi combatte commettendo ogni giorno un crimine contro l’umanità e chi cerca di difendersi rispettando il diritto internazionale. Significa avere chiaro chi usa i militari per difendere i civili e chi usa i civili per difendere le proprie milizie. E significa avere chiaro anche che significato ha un’espressione che avete trovato spesso negli ultimi giorni sfogliando le pagine del nostro giornale: Israele siamo noi.

Dire “Israele siamo noi” significa naturalmente rendersi conto che un occidente che non sa difendere il diritto di un ebreo a essere ebreo è un occidente che rinuncia a difendere se stesso. Ma significa anche rendersi conto che, come ha detto splendidamente ieri il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in un’Europa dove spuntano ovunque stelle di David imbrattate sui condomini, in un’Europa dove aumentano ogni giorno le minacce di bombe ai negozi ebraici, in un’Europa dove abbondano le manifestazioni che chiedono lo sradicamento di Israele, in un’Europa dove si moltiplicano le offese ai luoghi di culto degli ebrei, “chi attacca gli ebrei semplicemente attacca tutti noi”. Sono le parole di Scholz, queste, e sono parole che si sposano bene con altre parole perfette che alcuni importanti esponenti del governo tedesco hanno offerto ai cittadini negli ultimi giorni. “Per la Germania la sicurezza di Israele non è negoziabile. E non possiamo contenere la catastrofe umanitaria se il terrorismo a Gaza continua”, ha detto giorni fa Annalena Baerbock, ministro degli Esteri, leader dei Verdi, alle Nazioni Unite. E con ancora più forza, la scorsa settimana, è intervenuto Robert Habeck, vicecancelliere tedesco. “La nostra responsabilità storica – ha detto – significa anche che gli ebrei devono poter vivere liberamente e in sicurezza in Germania. Che non debbano mai più avere paura di mostrare apertamente la loro religione e la loro cultura. Ma è proprio questa paura a tornare”. E ancora: “I musulmani tedeschi devono prendere chiaramente le distanze dall’antisemitismo per non compromettere il loro stesso diritto alla tolleranza”.

Scegliere da che parte stare ripensando allo sterminio del 7 ottobre significa tutto questo. Significa non chiudere gli occhi di fronte a chi promuove la distruzione di Israele. Significa non chiudere gli occhi di chi cerca di rendere impossibile la vita agli ebrei. Significa non chiudere gli occhi di fronte a una verità difficile da contestare: finché Gaza sarà dominata dai terroristi – cercansi partigiani a Gaza – a essere in pericolo di vita non sarà solo Israele ma anche tutto ciò che Israele rappresenta: democrazia, diritti e libertà. Israele siamo noi.

Di più su questi argomenti:
  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.