A Tel Aviv

Sunak in Israele offre solidarietà nell'“ora più buia” e si occupa degli aiuti a Gaza

Paola Peduzzi

Quanto è solida Londra, a destra e a sinistra, sui valori liberali. Il leader britannico sostiene Gerusalemme nel suo diritto a esistere e a difendersi salvaguardando le vite dei palestinesi messe a rischio prima di tutto da Hamas

 “Ottanta anni fa il mondo civilizzato è stato con voi nella vostra ora più buia. Oggi è la nostra ora più buia”, ha detto il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a Rishi Sunak, primo ministro britannico in visita in Israele, aggiungendo che “Hamas è il nuovo nazismo, il nuovo Stato islamico e dobbiamo combatterlo, insieme”. I media britannici parlavano di una staffetta tra Sunak e Joe Biden, che era a Tel Aviv mercoledì, ma in realtà sono tanti i leader occidentali che sono andati a confermare la loro solidarietà a Israele, tutti decisi a dare il loro sostegno nella lotta contro il gruppo terroristico palestinese e allo stesso tempo salvaguardare il popolo palestinese “ostaggio di Hamas”, come ha ripetuto Sunak. E’ stato introdotto un nuovo paradigma – anche se sfugge ancora a molti – nei rapporti con il governo di Gerusalemme nella sua ora più buia. 

 

E’ stato codificato da Biden che, come  in Ucraina, ha  spiegato le parole chiave di una risposta collettiva in difesa della libertà e della vita – il concetto di interventismo umanitario tante volte bistrattato negli anni della guerra al terrorismo ha preso una nuova forma che si sostanzia nella determinazione a vivere dei popoli che vogliono essere indipendenti e liberi. E nel caso di questo conflitto il paradigma significa sostenere Israele nel suo diritto a esistere e a difendersi salvaguardando   le vite dei palestinesi messe a rischio prima di tutto da Hamas che da quando ha preso il potere nella Striscia di Gaza, nel 2006, non ha fatto nulla per migliorare le condizioni di vita dei due milioni di persone che ci abitano (serve in questo senso andare a vedere i filmati e le interviste fatte allora per capire come si è consumato il tradimento della promessa fatta allora da Hamas ai palestinesi, dopo che il governo di Ariel Sharon aveva deciso e fatto il ritiro da Gaza). 

 

C’è una nuova linea di continuità tra i leader occidentali nell’affrontare questa nuova guerra in medio oriente: non è una linea retta, ci sono delle interruzioni in un’Europa molto spaventata e anche nel Congresso americano a guida repubblicana che vuole imporre una distinzione tra la difesa di Israele e quella dell’Ucraina, ma è una linea che finisce fino al governo di Netanyahu che, falchissimo e contestatissimo,  ascolta i suoi visitatori non soltanto quando mostrano solidarietà a Israele ma anche quando chiedono umanità a Gaza. Questa linea passa dritta e netta per il Regno Unito che pure negli ultimi anni, dal referendum sulla Brexit nel 2016, si era ripiegato su sé stesso e aveva lasciato intendere che il suo nazionalismo sfacciato ed egoista avrebbe avuto la meglio sul suo ruolo internazionale. Non è andata così: il governo conservatore di Londra, pure se ha cambiato tre rappresentanti da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, seicentotré giorni fa, non ha mai cambiato posizione, anzi semmai ha fatto da stimolo anche agli Stati Uniti per spezzare tabù sulle forniture militari (e come si vede in questi giorni ci è riuscito alla grande). Allo stesso modo, Sunak in Israele ha ribadito il sostegno alla difesa del paese e gli aiuti ai palestinesi ed è partito per Riad per un tour nei paesi arabi che finora, a parte i proclami, non hanno fatto nulla per i civili di Gaza.

 

L’eccezione britannica, rispetto all’alleato americano, sta nel fatto che anche il partito di opposizione, il Labour di Keir Starmer, è allineato con il governo sia per quel che riguarda l’Ucraina sia per quel che riguarda Israele. Non è a costo zero per Starmer: ogni giorno ci sono defezioni nel partito e l’ala corbyniana, che è pro Russia e che non ha condannato Hamas, sta montando una campagna dura contro la nuova leadership che-è-come-i-Tory. Ma per questo Labour e per questi temi – cruciali nel mondo – questo non è un insulto.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi