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La storia si ripete

In tutta Europa ora gli ebrei hanno paura e si nascondono

Giulio Meotti

Attacchi alle sinagoghe, nascoste le kippah, tolte le mezuzah dalle porte: ora si pensa a emigrare. È il ritorno al clima degli anni Trenta. Cronaca antisemita post-7 ottobre

“Non ho bisogno di accendere la tv: quando vedo auto della polizia di fronte a casa nostra so che è successo qualcosa in Israele”, dice il rabbino capo d’Olanda, Binyomin Jacobs. “C’è una sensazione da anni 30”, come dice Niall Ferguson alla Free Press di Bari Weiss. Ieri mattina, mentre a Roma veniva evacuata una scuola ebraica per una esercitazione in caso di allarme bomba, una sinagoga di Berlino è stata attaccata con bombe molotov e nella capitale tedesca si contano sempre più  episodi di antisemitismo. La comunità di Kahal Adass Jisroel ha visto la sua sinagoga nel quartiere Mitte attaccata con due ordigni incendiari. Alcune ore dopo gli attacchi in Israele del 7 ottobre, in un quartiere di Berlino i musulmani distribuivano caramelle mentre festeggiavano l’attentato. Una donna musulmana di Amburgo ha detto a un’emittente regionale che la sua famiglia ha celebrato Hamas a casa. E proprio in una “sensazione da anni 30”, alcune case di ebrei a Berlino sono state marchiate con la stella di David. In risposta agli incidenti ormai fuori controllo, il cancelliere Olaf Scholz ha detto che il governo non mostrerà alcuna tolleranza per gli atti antisemiti. Le autorità tedesche hanno vietato le manifestazioni pubbliche a sostegno di Hamas e la maggior parte delle altre manifestazioni filopalestinesi.

Berlino ha proibito di indossare la kefiah e di scandire slogan del tipo “dal fiume al mare, la Palestina sarà libera” – un appello a stabilire uno stato palestinese su tutto l’attuale territorio di Israele, come nel programma di Hamas. Il ministro della Giustizia, Marco Buschmann, ha detto che dal prossimo anno agli stranieri condannati per reati antisemiti sarà impedito di ottenere la cittadinanza tedesca: “Quando l’uccisione di persone assassinate perché ebree viene celebrata proprio nelle strade dove ha avuto origine la Shoah, allora dobbiamo essere in grado di perseguire penalmente coloro che fanno questo”, ha detto Buschmann. “L’odio verso gli ebrei è diventato comune tra i giovani di alcune comunità arabe”, ha scritto Josef Schuster, già presidente del Consiglio centrale degli ebrei, la più grande associazione ebraica in Germania, in un articolo intitolato “I barbari sono tra noi”. “E’ stato allarmante vedere la gente che non ha più il coraggio di uscire per strada indossando la kippah o che vuole rimuovere il proprio nome dai campanelli”. E anche Henry Kissinger, di origine tedesca fuggito dal nazismo da bambino nel 1938, è intervenuto sulla questione: “E’ stato un grave errore lasciare entrare così tante persone di cultura, religione e concetti totalmente diversi”, ha detto alla Welt. 

In quasi tutte le città tedesche, gli ebrei sono diventati “discreti”. A Bonn, la comunità ebraica ha consigliato di non indossare i simboli della fede in pubblico. Lo stesso hanno fatto l’Abraham Geiger Kolleg a Potsdam, che ha invitato gli studenti a non portare la kippah per strada e la scuola Or Avner di Berlino. Commenta lo Jüdische Allgemeine, il giornale della comunità ebraica tedesca: “A Berlino è da tempo che la vita quotidiana per gli ebrei, da Neukölln attraverso Kreuzberg a Wedding, porta a non indossare simboli ebraici in pubblico. Lo stesso si sente da molte comunità ebraiche, da Kiel a Costanza. Quando politici come Sigmar Gabriel chiedono ‘tolleranza zero’ nei loro discorsi domenicali, ma in tutti gli altri giorni della settimana tollerano l’odio, allora qualcosa è andato storto a Bochum, Berlino e in molte altre città tedesche, dove l’aggressività dei musulmani rende impossibile la vita degli ebrei”. Il commissario contro l’antisemitismo della Repubblica federale, Felix Klein, aveva dovuto ammettere, come in una capitolazione: “Non posso consigliare agli ebrei di portare la kippah ovunque in Germania”.

 

Via le mezuzah dalle porte

Anche in Francia, racconta il settimanale Point, gli ebrei si fanno “invisibili” per evitare di essere aggrediti. Julia  ha deciso con un’amica di rimuovere il proprio cognome dai suoi account social. Ha mantenuto solo le consonanti, per ragioni di sicurezza. Quando si fanno consegnare il cibo, molti ebrei non danno l’indirizzo esatto, ma quello di una o due case vicine, in modo che il fattorino non possa vedere la mezuzah (la scatola contenente brani della Bibbia fissata al telaio della porta). Su Instagram, la titolare dell’account “The French Meuf” spiega tutte le strategie di autodifesa. “Quando prenoto un taxi di ritorno da un viaggio in Israele, fornisco un altro numero di volo”. Yonathan Arfi, presidente del Consiglio di rappresentanza delle istituzioni ebraiche di Francia (Crif), dice che il rischio è che, a poco a poco, si imponga un “ebraismo del silenzio”. C’è paura fra gli ebrei di Nizza. Non lasciano che i figli camminino da soli per strada. 

Centinaia di famiglie ebraiche hanno lasciato Tolosa e il presidente della comunità ebraica, Arié Bensemhoun, ha consigliato ai giovani di lasciare la città. Tolosa contava fino a ventimila persone di religione ebraica. Oggi sono rimasti in diecimila. Stesse testimonianze dall’Inghilterra. Rachel, una madre di Manchester, dice: “Non permetto a mia figlia di indossare la sua collana con la Stella di David”. Gabrielle, un’altra mamma della città, ha tolto la mezuzah dallo stipite di casa. Nei dieci giorni successivi all’attacco terroristico, il Community security trust (Cst), un ente che monitora il razzismo antiebraico, ha registrato almeno 320 incidenti in tutto il paese, con un aumento del 581 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. La scuola ebraica a Kenton, a nord-ovest di Londra, è circondata da massicci blocchi di cemento per fermare gli attacchi dei veicoli, mentre le guardie controllano il perimetro. Ma la settimana scorsa, il preside della scuola, che esiste da 291 anni, ha scritto ai genitori: “Se gli studenti volessero non indossare il manto di preghiera, allora capirei questa decisione. Pertanto, saranno facoltativi”. E il premier inglese Rishi Sunak ha annunciato un finanziamento aggiuntivo di tre milioni di sterline per il Cst per proteggere scuole, sinagoghe e altri edifici comunitari. “Negli ultimi cinquant’anni la popolazione ebraica in Europa è diminuita del sessanta per cento e un calo simile è previsto nei prossimi trent’anni”, scrive Eldad Beck sul maggiore giornale israeliano, Israel Hayom. E Natan Sharanksy, l’ex refusnik sovietico, ha detto: “Stiamo assistendo all’inizio della fine della storia ebraica in Europa”.

Niente simboli ebraici
Anche la congregazione ebraica di Göteborg, in Svezia, ha consigliato ai suoi membri di non portare pubblicamente alcun simbolo ebraico e di non parlare ebraico in pubblico. Mercoledì il primo ministro svedese, Ulf Kristersson, ha visitato la congregazione ebraica di Malmö ed espresso preoccupazione per il rischio di un aumento dell’antisemitismo in Svezia. Tutti i sette figli del rabbino capo dell’Olanda Jacobs, tranne due, hanno lasciato i Paesi Bassi per Israele e altrove. Come ha fatto Benzion Evers, figlio del rabbino di Amsterdam. “Emigrare è per noi una soluzione e lo farà il sessanta per cento della comunità”. Cinque dei suoi fratelli e sorelle hanno d'altronde già fatto lo stesso passo. La situazione per la comunità ebraica olandese è diventata così preoccupante che il rabbino Jacobs ha detto che “la gente sta discutendo di rimuovere le mezuzah dal momento che li identifica come tali”. Joel Mergui, presidente del Paris Consistoire, l’organo dell'ebraismo francese responsabile delle funzioni religiose, rivela che tutti e quattro i suoi figli si sono trasferiti in Israele. Meyer Habib, ex parlamentare francese e vicepresidente delle comunità ebraiche, ha affermato che due dei suoi quattro figli vivono in Israele. Il rabbino capo di Parigi, Michel Gugenheim, ha otto figli, tutti andati a vivere in Israele. 

L’immigrazione in Israele dal Belgio è così aumentata del 20 per cento in dieci anni. Un “esodo silenzioso”, come lo definisce uno dei capi della comunità ebraica belga, Joel Rubinfeld, per cui “le sinagoghe ora sono vuote e in vendita. Nel 2000 erano 40 mila. Oggi sono 30 mila”. Jacob Benzennou, presidente della Comunità ebraica di Waterloo, la città belga vicino a Bruxelles teatro della leggendaria sconfitta di Napoleone nel 1815, oggi ospita appena 250 ebrei. “La sinagoga di Waterloo non ha un minyan” (dieci fedeli ebrei necessari per la preghiera). I Jacobs rimarranno ad Amersfoort “finché ci sarà bisogno della nostra presenza”, dice Blouma Jacobs. Devono preparare il trecentesimo anniversario della sinagoga nel 2027. “Dopo, vedremo”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.