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La tragedia

“In Israele peggio dell'11 settembre”. Intervista a Yossi Klein Halevi

Giulio Meotti

“L’Europa deve difendere Israele ora che deve distruggere Hamas, non quando conta i suoi morti”, ci dice l'intellettuale israelo-americano. Il fronte a nord

Il Galilee Medical Center di Nahariya, nel nord di Israele, ieri ha portato i pazienti sotto terra per la prima volta dalla guerra del Libano nel 2006. Intanto l’emittente pubblica israeliana Kan lanciava un canale con i nomi degli israeliani uccisi nell’assalto a sud di Hamas. Farà scorrere i nomi dei 1.200 morti, come fanno le trasmissioni per Yom HaShoah. Ieri Benjamin Netanyahu ha detto a Joe Biden che Israele ha subìto “la peggiore delle tragedie  dall’Olocausto. Hanno preso dozzine di bambini, li hanno legati, bruciati e uccisi. Come a Babyn Yar, li hanno falciati, assicurandosi che uccidessero tutti”. Il riferimento è al luogo fuori Kyiv di una delle più grandi fucilazioni di massa di ebrei nell’Europa occupata dai tedeschi. A Yossi Klein Halevi, intellettuale israelo-americano che vive a Gerusalemme, il paragone con la Shoah non piace. “Lo stato ebraico non doveva riportarci indietro a quei tempi” dice Klein Halevi al Foglio. “Siamo ancora forti, molto forti, e vinceremo. L’unica questione è il prezzo da pagare, ma vinceremo”. 

Lo stesso vale per la risposta europea. “C’è troppo sentimentalismo. Quando gli ebrei sono vittime vediamo il sostegno dell’Europa. Ma non mi piace essere sostenuto quando noi ebrei siamo annichiliti. Troppo facile. Voglio il sostegno dell’Europa ora che dobbiamo rispondere. E quando inizierà la nostra risposta inizieranno a farci la morale, i ‘civili innocenti’, la ‘risposta sproporzionata’. Il diritto di Israele di esistere comporta un costo. I terroristi hanno invaso le nostre città e villaggi. E allora vedremo, inevitabilmente, nei media, fare paragoni fra Hamas e Israele, fra innocenti israeliani e innocenti palestinesi. Questo è relativismo morale. Gli israeliani vi diranno: non abbiamo bisogno della simpatia del mondo solo quando i corpi violati dei nostri famigliari e amici vengono mostrati alla folla esultante a Gaza. Abbiamo bisogno di quella simpatia quando attacchiamo coloro che hanno commesso queste atrocità. Se non si riesce a distinguere tra un esercito che cerca di evitare vittime civili e un gruppo terroristico che cerca di infliggerle, allora risparmiateci le condoglianze”.

Il 22 aprile 1979, quattro terroristi palestinesi partirono dal sud del Libano su un gommone e sbarcarono sulla costa israeliana, vicino alla città di Nahariya. Si sono diretti verso un condominio, sfondando la porta d'ingresso della famiglia Haran. All’interno, hanno sequestrato Danny Haran e sua figlia di 4 anni, Einat. Nel frattempo la moglie di Danny, Smadar, si nascondeva in soffitta con la figlia di 2 anni, Yael. I terroristi hanno portato i due ostaggi sulla spiaggia, dove hanno sparato a Danny e fracassato il cranio di Einat contro una roccia. Smadar, tentando di calmare Yael, la soffocò accidentalmente a morte. “Di tutti gli attacchi terroristici palestinesi, nessuno ebbe un impatto così grande sulla generazione di israeliani che raggiunse la maggiore età intorno alla guerra dello Yom Kippur del 1973 quanto la distruzione della famiglia Haran” ci dice Klein Halevi. “Il destino degli Haran era l’incubo finale di Israele: l’impotenza. Il sionismo prometteva di dare potere agli ebrei; il destino della famiglia Haran apparteneva all’Europa orientale, non allo stato ebraico.

Per questo non abbiamo mai visto niente come il 7 ottobre: massacri di massa che psicologicamente ci riportano al passato, ma per un giorno solo e oggi non è così, oggi è il day after. Siamo risoluti e faremo tutto quello che dobbiamo fare per distruggere questo male. L’impatto del 7 ottobre sarà profondo. Gli attacchi suicidi dell’Intifada hanno cambiato politicamente Israele, quando la sinistra è crollata. Il massacro compiuto da Hamas è stato paragonato all’11 settembre ma, come la maggior parte delle analogie applicate alla situazione di Israele, non riesce a descrivere la realtà. Nessun americano pensava seriamente che l’esistenza degli Stati Uniti fosse messa in pericolo dalla caduta delle Torri Gemelle. Ma la sconfitta inflitta dagli oppositori meno formidabili di Israele ha profonde implicazioni strategiche, incoraggiando altri nemici ai suoi confini. In Israele, nessuna profondità strategica separa il fronte interno dalle minacce di genocidio”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.