(foto EPA)

Il caso

L'Ue si culla nell'illusione del business as usual in medio oriente

David Carretta

La politica dell’Unione europea nella regione, nonostante gli attacchi di Hamas, per ora rimane al 6 ottobre: la priorità è resuscitare l’accordo nucleare con l’Iran e incrociare le dita sugli accordi di Abramo

Bruxelles. Sabato l’Unione europea ha condannato “nei termini più duri possibili” l’aggressione terroristica di Hamas e ha riconosciuto “il diritto a difendersi” di Israele. Ieri la Commissione europea ha congelato gli aiuti allo sviluppo destinati ai territori palestinesi perché “non può esserci business as usual” di fronte alla “portata del terrore e della brutalità contro Israele e il suo popolo”. L’Alto rappresentante, Josep Borrell, ha convocato per oggi una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dei ventisette in videoconferenza per discutere della situazione in Israele e nella regione. Ma quanto tempo servirà all’Ue per passare dalle dichiarazioni di solidarietà e sostegno agli appelli a Israele a esercitare moderazione, evitare l’escalation e rilanciare i negoziati di pace? Quanto prima che l’Ue denunci la risposta sproporzionata contro Hamas o violazioni del diritto umanitario internazionale da parte dell’esercito israeliano? “Poche settimane, forse giorni”, dice al Foglio un diplomatico europeo: “In passato è sempre stato così”. Già domenica Borrell e altri leader europei hanno iniziato a evocare la necessità di “fermare la violenza”, “cessare tutte le ostilità” e “evitare l’escalation”. Come se il 7 ottobre 2023 fosse uno dei tanti attacchi terroristici che hanno costellato gli ultimi decenni della storia di Israele e non un evento sistemico al pari della guerra dello Yom Kippur del 1973 o della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.

 

Come il 24 febbraio del 2022, quando i carri armati russi attraversavano i confini e i missili iniziavano a colpire l’Ucraina, una parte dell’Ue sembra cullarsi nell’illusione che dopo l’attacco senza precedenti di Hamas tutto tornerà come prima in medio oriente. Borrell e diversi ministri degli Esteri ieri erano in Oman per incontrare le loro controparti del Consiglio di cooperazione del Golfo. L’Alto rappresentante ha spiegato che è “urgente unirsi a sforzi internazionali per fermare la violenza e prevenire la destabilizzazione regionale”. Occorre “lavorare incessantemente per invertire una pericolosa dinamica”, ha detto Borrell. Domenica era stato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, a telefonare a diversi leader della regione. “L’escalation regionale deve essere evitata”, ha detto Michel al presidente egiziano, Abdel Fattah al Sisi. “La violenza deve finire come priorità e le vite dei civili devono essere protette”, ha detto al re di Giordania Abdullah II. L’Ue è pronta a “sostenere il rilancio del processo politico”, ha spiegato al premier palestinese, Mohammad Shtayyeh. Mentre Borrell e Michel invitano alla de-escalation, incuranti dell’ambiguità del messaggio, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha promesso di “cambiare il medio oriente”. 

 

Le principali ragioni che vengono citate a Bruxelles per rimanere prudenti sono la necessità di liberare gli ostaggi in mano a Hamas e la volontà di evitare una deflagrazione regionale. Ma alcuni funzionari ricordano che Israele è l’occupante, più volte condannato da risoluzioni delle Nazioni Unite. Tra i ventisette c’è chi difende la linea dura con Hamas. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha insistito sul “diritto di Israele di difendersi”, senza mettere altri paletti oltre al rispetto del diritto internazionale. Tuttavia anche il suo potrebbe essere un posizionamento temporaneo, dettato più dai buoni rapporti con gli Stati Uniti o dalla volontà di fare concorrenza al duo Michel-Borrell che da un’effettiva volontà di von der Leyen di aiutare Israele a eradicare il male di Hamas. La decisione della Commissione di sospendere gli aiuti allo sviluppo per Gaza e la Cisgiordania è temporanea e fa seguito a decisioni simili di Germania e Austria. Gli aiuti umanitari proseguiranno. Diversi stati membri sono contrari al blocco dei fondi perché la considerano una punizione collettiva. Più in generale, nessuno nell’Ue vuole avviare una riflessione strategica sul ruolo della Repubblica islamica. La politica dell’Ue in medio oriente per ora rimane al 6 ottobre: la priorità è resuscitare l’accordo nucleare con l’Iran e incrociare le dita sugli accordi di Abramo.

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