Vladimir Putin (Ansa)

la strategia

Come fa Mosca ad aggirare le sanzioni sul petrolio. Gli Urali e l'asse saudita

Federico Bosco

In questi mesi la Russia si è adoperata per adattarsi e alla misure occidentali, trovando soluzioni efficaci e una sponda nell'Arabia Saudita.  L’Ue intanto inzia a valutare il dodicesimo pacchetto di provvedimenti contro il Cremlino, che potrebbero colpire il commercio di diamanti

La Russia sta aggirando le sanzioni del G7 sulla maggior parte delle esportazioni di petrolio, permettendo al Cremlino di guardare con ottimismo ai proventi del settore che rappresenta la principale fonte di bilancio della Federazione russa. Secondo un’analisi del Financial Times sui dati della società di analisi dei trasporti Kpler e delle compagnie assicurative, nel mese di agosto quasi tre quarti di tutti i flussi di greggio russo trasportati via mare – circa il 50 per cento in più rispetto ai mesi di primavera – hanno viaggiato senza usare un’assicurazione occidentale, scavalcando la leva su cui si basa il funzionamento del price cap fissato dal G7.

 

A dicembre dell’anno scorso l’Unione europea ha imposto un embargo totale sul greggio russo trasportato via mare, mentre i paesi del G7 e l’Australia hanno introdotto un meccanismo che permette ancora la fornitura dei servizi finanziari e assicurativi occidentali (dominanti nel settore) alle petroliere che trasportano petrolio russo, ma solo se viene commerciato a un prezzo inferiore ai 60 dollari al barile. L'obiettivo era ridurre gli incassi di Mosca senza rimuovere il greggio russo dal mercato globale, evitando di creare un vuoto di offerta tale da innescare un aumento dei prezzi fuori controllo. Fino a un mese fa la misura ha funzionato: nei primi sei mesi del 2023 la Russia ha visto crollare le entrate da gas e petrolio del 47 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022, ma le quotazioni globali del petrolio sono rimaste stabili con il Brent intorno ai 75-80 dollari al barile. Ma mentre i paesi occidentali si adagiavano sui risultati ottenuti, Mosca si è adoperata per adattarsi alla nuova realtà, e insieme al partner saudita sta infine riuscendo a far crescere il prezzo globale del petrolio, ridurre i forti sconti che è costretta ad applicare al suo greggio degli Urali, e a trasportarlo in proprio aggirando i vincoli imposti dal price cap.

 

I tagli alla produzione di greggio voluti dall’Arabia Saudita e dalla Russia in sede Opec+ stanno iniziando a dare i risultati sperati, e da inizio settembre il Brent sta sfiorando i 95 dollari. Anche se i sauditi e i russi decidessero di aumentare la produzione all’inizio del 2024, i problemi continuerebbero comunque perché ci vorrà tempo prima di ricostituire le scorte. La settimana scorsa Mosca ha anche vietato l’esportazione di diesel e altri carburanti, creando ulteriori pressioni sui mercati. Goldman Sachs adesso prevede il Brent a 100 dollari nei prossimi 12 mesi e gli hedge fund scommettono sul target del prezzo a tre cifre, alimentando il rally sui mercati innescato dai tagli alla produzione. Il prezzo del greggio russo Urals si basa sulla quotazione del Brent, pertanto Mosca ora riesce a vender barili a un prezzo vicino o superiore ai 60 dollari del price cap, e grazie alla sua “flotta fantasma” di petroliere acquistate in questi mesi (anche da armatori greci) può trasportarlo senza temere sanzioni.

La Kyiv School of Economics (Kse) ha stimato che il costante aumento dei prezzi del greggio da luglio, combinato con il successo della Russia nel ridurre lo sconto sul greggio degli Urali, significa che quest’anno le entrate petrolifere russe saranno probabilmente superiori di almeno 15 miliardi di dollari rispetto a quanto stimato inizialmente. L’apparente resilienza della Russia è motivo di orgoglio per Vladimir Putin, che la settimana scorsa ha affermato che “la fase di ripresa per l’economia russa è terminata” dopo “aver eliminato pressioni esterne senza precedenti”. Parole false, come sempre, ma rafforzate da quelle di Oleg Deripaska, uno dei pochi oligarchi abbastanza potente da poter criticare pubblicamente l’invasione russa dell’Ucraina e le conseguenze delle sanzioni sull’economia russa.  In un’intervista al Financial Times,  ha detto che la Russia ha dimostrato tutta la sua “resilienza alle sanzioni occidentali”, abbracciando  la narrazione del Cremlino contestata fino a poco tempo fa. A marzo aveva detto che il paese sarebbe rimasto “senza soldi” entro il 2024.  L’Ue adesso sta iniziando a valutare il dodicesimo pacchetto di sanzioni, si parla di colpire il commercio di diamanti. Tuttavia, giunti a questo punto, l’efficacia della pressione sanzionatoria nei confronti della Russia non riguarda più solo l’introduzione di  nuove misure, ma  il loro rispetto anche nel lungo periodo.

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