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i limiti del governo

La criminalità nel settore civile arabo in Israele è sempre più estesa

Fabiana Magrì

"Eravamo una società semplice, che viveva di agricoltura. In pochi anni ci siamo ritrovati in una società complessa, dominata dal denaro, in cui sono proliferate organizzazioni criminali", ci racconta il sindaco di Tira. Mentre il premier Netanyahu vuole gestire i fenomeni di delinquenza con una commissione speciale

Tel Aviv. “Eravamo una società semplice, che viveva di agricoltura. Nell’arco di pochi anni ci siamo ritrovati in una società complessa, dominata dal denaro, in cui sono proliferate organizzazioni criminali (arabe, ndr) con l’obiettivo di arricchirsi sempre di più. Questo è il contesto della grande maggioranza degli omicidi. Non ha niente a che fare con la nostra cultura”. Ha l’aria addolorata l’avvocato Maamun Abd Elhai, sindaco di Tira, mentre seduto in salotto, nella sua villetta poco fuori la Città vecchia, risponde alle domande del Foglio, e aspetta che la polvere del caffè si depositi. “Intorno a una tazza di caffè” è come il sindaco è abituato a risolvere “i piccoli problemi e dissidi di comunità” che le amministrazioni locali sono solite affrontare con l’auto degli imam. Ma ora che il fenomeno è diventato qualcosa di più esteso, Elhai ammette di non essere in grado di controllare la criminalità organizzata che, lamenta, si può estirpare solo con una forte azione della polizia.

Dall’inizio dell’anno si è registrato un aumento senza precedenti della criminalità nel settore civile arabo in Israele. Il numero degli omicidi è più che raddoppiato rispetto alle cifre degli anni precedenti: oltre 170 in 8 mesi. Un aumento attribuito, dall’opposizione ma anche da analisti e media, a una politica di abbandono della società araba da parte dell’attuale esecutivo. Una strategia “intenzionale e una decisione deliberata di indebolire la polizia, l’istruzione, la cultura e l’impiego”, aggiunge Elhai. 

 

Quando un suo stretto collaboratore, Abed al Rahman Kashua, medico 55enne, imam, marito e padre di 5 figli è stato ucciso la sera del 22 agosto, proprio a due passi dalla stazione di polizia, per Elhai è stato uno spartiacque. Il sabato successivo il sindaco ha rotto un tabù ed è salito, primo arabo, sul palco delle proteste anti governative a Tel Aviv. Ha percorso una distanza di appena 30 chilometri, colmando però un divario sociale e culturale enorme. “Per la prima volta – ammette – sento che questo tema è rilevante per i cittadini di Tira, se ne parla per strada”. Il suo intervento ha smosso le acque. Il premier Benjamin Netanyahu ha approvato la formazione di un team di professionisti per gestire gli episodi di violenza e sta valutando un pacchetto di leggi urgenti per dotare la polizia israeliana di migliori strumenti, anche tecnologici, e consentire sanzioni più severe. E il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich sta riconsiderando la sua intenzione di congelare i bilanci delle autorità locali arabe e ridurre gli stanziamenti di fondi (già approvati) per lo sviluppo di questo settore della società. “Smotrich sta provando a bloccare fondi già stanziati per l’istruzione e la cultura”, commenta il sindaco avvocato. “Non c’è alcuna possibilità che questo governo possa agire per il bene dei cittadini arabi di Israele. Due ministri in particolare, Smotrich e Ben Gvir, non provano nemmeno vergogna quando dicono, apertamente ovunque e in qualunque occasione, che odiano gli arabi. Spero che queste persone non influenzeranno tutto il governo e che il premier le fermi. Andiamo incontro a tempi molto più difficili di quelli che stiamo attraversando adesso”. 

 

Lo scorso  primo settembre c’è stato un attentato al checkpoint Maccabim sulla strada 443, fra Tel Aviv e Gerusalemme. Un soldato israeliano fuori servizio è stato ucciso. L’autore dell’attacco era un palestinese della Cisgiordania con permesso di lavoro in Israele. Uno degli argomenti che rafforzano il gradimento dei partiti nazionalisti di destra è il timore che ci sia un legame tra i palestinesi che cercano di uccidere gli israeliani e i cittadini arabi di Israele. “Noi arabi israeliani siamo in una posizione molto difficile”, ammette il sindaco di Tira. “Siamo parte del popolo palestinese ma siamo anche cittadini dello stato di Israele. Vogliamo due stati per due popoli, ebrei e palestinesi, ciascuno nel proprio paese. Ovviamente ogni uccisione, di un israeliano o di un palestinese, è una tragedia. Ogni persona uccisa ha una famiglia, dei figli, una madre. Noi arabi in Israele cerchiamo di essere un ponte. Ci proviamo. Ma finora – riconosce – non ci siamo riusciti. Purtroppo, Smotrich e Ben Gvir soffiano sul fuoco per trasformarlo in un incendio. Cercano il caos e la guerra perché sono strumentali alla loro agenda”.

Che sia arrivato il momento per un maggiore coinvolgimento della società araba nelle proteste contro la riforma giudiziaria? “In linea di principio – spiega Elhai – sosteniamo la lotta per la democrazia. Perché ci rendiamo conto che i primi a soffrire per le decisioni che sta prendendo questo governo siamo noi arabi. Siamo preoccupati anche noi per il futuro di Israele. Viviamo qui come regolari cittadini, con i nostri bambini, le nostre scuole, le nostre vite. Gli arabi di Israele vogliono cancellare la legge Kaminitz, che li riduce peggio che cittadini di serie B.” Ma? “I leader delle comunità arabe in Israele non andranno a manifestare apertamente a Kaplan”. E ci sono diversi motivi. Da quelli che non si sentono parte di un conflitto politico interno a Israele a chi teme che unirsi ai movimenti di protesta finirebbe per danneggiarli. E non ci sono state solo reazioni positive alla sua presenza a Tel Aviv all’interno della società araba. “Non che mi senta minacciato – dice – ma mi rendo conto del pericolo che corro  per essermi esposto contro le organizzazioni criminali locali”. Tuttavia non ha una scorta o guardie del corpo (“Però ho mia moglie!”, scherza). Elhai potrebbe anche pagarne il prezzo alle prossime elezioni, il 31 ottobre, a cui concorre come candidato indipendente per il quinto mandato. “Certo, il mio gesto potrebbe influire negativamente sulle possibilità di essere rieletto. Non è poi così importante, è un rischio che posso correre. Sono stato sindaco per quattro mandati. Anche se fosse ora di cedere il posto sono pronto”. Ma non è detto, “la partita è ancora aperta.”
 

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