l'iran al vertice

All'Onu Israele è l'unico paese a protestare contro il “macellaio di Teheran”

Giulio Meotti

All'Assemblea generale delle Nazioni unite solo l'ambasciatore di Netanyahu ricorda l'omicidio di Mahsa Amini e la ferocia del regime iraniano

“La storia registrerà che il Macellaio di Teheran si è rivolto oggi alle Nazioni Unite e nessuna democrazia ha detto o fatto nulla riguardo al fatto che il suo regime – che picchia, acceca, tortura e violenta le donne manifestanti – sarà presidente del Forum del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite”. Così Hillel Neuer, presidente di UN Watch. Non tutte le democrazie. “È tempo per le donne iraniane di ottenere la loro libertà”. Questo è il cartello mostrato dall’ambasciatore israeliano all’Onu, Gilad Erdan, mentre il presidente iraniano Ebrahim Raisi stava parlando all’Assemblea Generale. E un’immagine di Mahsa Amini,   uccisa un anno fa per aver indossato il velo in modo non conforme alle leggi iraniane. 

Erdan si è alzato, dirigendosi verso il palco dove parlava Raisi, prima che il personale  delle Nazioni Unite lo arrestasse. Nessun paese occidentale aveva alzato un sopracciglio per la presenza di Raisi, che teneva in mano il Corano mentre parlava  ed è accusato per il suo ruolo nel massacro di cinquemila prigionieri politici iraniani nel 1988 e nel massacro di 1.500 manifestanti iraniani nel 2019. Erdan, che ha lasciato la sala dell’Assemblea Generale con la delegazione israeliana, ha detto che le Nazioni Unite hanno raggiunto “un nuovo minimo morale” dando una piattaforma a Raisi, che ha deriso come un “vile assassino”. “Mentre il macellaio di Teheran parla alle Nazioni Unite e viene rispettato dalla comunità internazionale, centinaia di iraniani protestano fuori, gridando e chiedendo alla comunità internazionale di svegliarsi e aiutarli”, ha detto Erdan. “È una vergogna che gli stati membri restino ad ascoltare un assassino di massa. Ho lasciato il discorso per chiarire che lo stato di Israele è al fianco del popolo iraniano”.

E Russia, Cina, Cuba, Burundi e Kuwait sono pronte a entrare al Consiglio per i diritti umani. “Sarebbe come trasformare una banda di piromani nei vigili del fuoco”, ha affermato Neuer di UN Watch.  Poiché non c’è competizione nei gruppi regionali asiatico e africano,  la vittoria di Cina, Burundi e Kuwait è garantita. Fortunatamente, c’è concorrenza per l’America Latina, con Cuba che se la vedrà con Brasile, Repubblica Dominicana e Perù per tre seggi, e nel gruppo dell’Europa orientale la Russia compete con Albania e Bulgaria per due seggi. Attualmente, più di due terzi dei membri del Consiglio dei diritti umani appartengono a paesi non democratici, tra cui Qatar, Sudan, Eritrea, Algeria, Somalia, Vietnam, Pakistan e Kazakistan. 

E c’è da scommettere che a Ginevra i campioni dei diritti umani allestiranno presto un altro processo allo stato ebraico, l’unico che a New York ci ha messo la faccia (e il volto di Mahsa Amini) per ricordare al mondo chi sono gli ayatollah.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.