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situazione economica

Malaticcio d'Europa. La crisi tedesca non è grave ma preoccupa

Daniel Mosseri

La recessione della Germania tra inflazione, aumento dei tassi, burocrazia e carenza di manodopera. Ma l'istituto Ifo di Monaco spegne gli allarmismi e invita ad un moderato ottimismo per il futuro

“La peggiore della classe”, secondo il Financial Times e “Di nuovo il malato d’Europa?”, secondo l’Economist. La stampa anglosassone non fa sconti alla Germania malata di recessione. Sarà Schadenfreude – che poi è un termine curiosamente diffusosi in Europa proprio nella lingua di Goethe – o una frenata della locomotiva preoccupa davvero gli altri vagoni? Il paese guidato da Olaf Scholz è entrato in recessione nel primo trimestre del 2023 mentre il secondo si è chiuso con un pil invariato. Ad alcune difficoltà strutturali si è aggiunta una congiuntura para-bellica che non aiuta; e i dati diffusi ieri dall’istituto Ifo di Monaco confermano la doppia natura dei mali tedeschi. Sul fronte dei problemi di lunga durata è peggiorato il dato sulla carenza di manodopera qualificata: l’ultima Ifo Business Survey racconta che il 43,1 per cento delle 9 mila imprese tedesche interpellate a luglio soffre la mancanza di lavoratori qualificati, rispetto al 42,2 per cento dello scorso aprile. “Nonostante un’economia lenta, molte aziende sono ancora alla disperata ricerca di dipendenti”, spiega l’Ifo. Peggio di tutte stanno le aziende del settore servizi (il 75.3 per cento) e il 66 per cento nei trasporti, architettura, e ingegneria. Sul fronte contingenza si è invece aggravato il settore dell’edilizia, fra i più esposti all’aumento del costo del denaro. A luglio, il 40,3 per cento delle aziende di edilizia residenziale ha lamentato la mancanza di ordini, rispetto al 34,5 per cento a giugno e il 10,8 per cento un anno fa. “La costruzione di nuovi alloggi è sotto forte pressione. Da un lato gli ordini esistenti vengono continuamente cancellati, dall’altro, arrivano sempre meno nuovi ordin”, afferma l’economista Klaus Wohlrabe dell’Ifo.

 Costi di tutti i materiali in netto rialzo, energia più cara, tensioni sul fronte degli scambi per il conflitto russo-ucraino, tassi di interesse ai massimi, ordini dalla Cina in calo e poi ancora costo del lavoro in crescita, una burocrazia pittosto farraginosa appesantita da un digital gap che non si colma mai, senza dimenticare la questione del calo demografico: il cahier de doléances compilato dal Ft restituisce l’immagine di una Germania invecchiata e scivolata “verso il basso nella classifica della competitività della Imd Business School al 22° posto su 64 principali paesi, dall’essere tra i primi dieci un decennio fa”. Per capire quanto grave sia questo grido di allarme, il Foglio ha contattato proprio Wohlrabe, che all’Ifo è responsabile dei sondaggi, ossia di monitorare il polso delle imprese tedesche. L’economista mette l’accento sul punto interrogativo nella copertina dell’Economist sul “malato d’Europa”, osservando che “la situazione non è grave come all’inizio del millennio, quando si usava questo termine”. La recessione c’è “ma non è profonda”: il problema principale, argomenta, è che l’elevato tasso di inflazione (al 6,2 per cento a luglio) induce i consumatori a rimandare gli acquisti. Lo scambio con Wohlrabe avviene mentre l’Ufficio federale di statistica segnala che “i prezzi alla produzione sono calati a luglio del 6 per cento” – una media però data da un netto calo dell’energia (-19,3 per cento su giugno) mentre negli alimentari non c’è alcun segno di tregua (+9,2 per cento). E mentre la mancanza di lavoratori blocca gli ordini, a tutto ciò, riprende Wohlrabe, “si aggiungono le sfide a lungo termine, dalla decarbonizzazione dell’economia ai cambiamenti demografici e alla digitalizzazione di enti pubblici e aziende”. Eppure l’Ifo si mantiene moderatamente ottimista puntando a un pil in lieve calo a fine anno e in crescita in quello nuovo. Certo, conclude l’economista, il governo non aiuta: se ha saputo garantire l’approvvigionamento energetico nei mesi peggiori della crisi del gas, oggi sembra “privo di una strategia convincente, soprattutto a lungo termine, su come procedere con la politica economica”. 

Le aziende attendono un segnale di ottimismo ma la maggioranza che sostiene il cancelliere continua a litigare su tutto. E sul breve periodo cosa dovrebbe fare? “Migliorare le condizioni di investimento, tra l’altro ampliare le possibilità di ammortamento (come appena previsto per l’edilizia). E poi portare avanti la digitalizzazione, che è anche strategicamente importante,  senza dimenticare gli investimenti statali nelle infrastrutture”. Quando anche il rigoroso istituto Ifo invoca soluzioni dal sapore keynesiano per far ripartire le macchine, qualche preoccupazione sul futuro della locomotiva – o quantomeno dubbi sulla competenza del macchinista – forse è legittimo averlo.

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