I confini di Putin sono limitati

Micol Flammini

Il presidente russo non è andato in Sudafrica e non andrà neppure ad Ankara, dove lo attendeva Erdogan per parlare di grano ed energia. Il mandato d'arresto della Corte penale ha ristrettoil mondo del Cremlino

Ogni volta che Vladimir Putin fa un passo fuori dalla Russia, e accade di rado, il suo staff deve fare molti calcoli. E non soltanto quelli che sempre si fanno per la sicurezza di un capo di stato, ma anche quelli necessari per evitare l’arresto, perché Vladimir Putin è un ricercato internazionale e il mondo per lui si sta facendo più piccolo. Avrebbe voluto partecipare al vertice dei Brics in Sudafrica, ma il paese aderisce alla Corte penale internazionale che ha spiccato il mandato d’arresto, e nonostante l’amicizia con il presidente russo ha preferito evitare la sua presenza. E’ arrivato al suo posto Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri che ogni volta che esce da Mosca sembra distendersi, a maggior ragione se l’incontro è con Cina, India, Brasile e Sudafrica, paesi amici o quasi. Putin era stato invitato ed era atteso anche in Turchia. Lo aveva annunciato il suo omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, parlando di una visita ad Ankara entro fine agosto. Putin probabilmente  non andrà e sarà Erdogan a recarsi in Russia. Lo ha scritto il  quotidiano turco Yeni Safak, specificando che il presidente russo “non ha osato” volare in Turchia. Già a inizio mese, il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, aveva ammesso che per Putin ogni visita ora è complicata e “ha bisogno di stare in Russia”.

 

I confini del mondo per la Russia si sono ristretti, ogni passo è misurato, il mandato d’arresto che secondo alcuni altro non era che carta straccia ha un impatto sulla vita del presidente. Erdogan ha molta voglia e soprattutto urgenza di riscrivere la situazione nel Mar Nero, di ripristinare i corridoi del grano, di dare vita a una nuova iniziativa che permetta di far partire i mercantili dai porti ucraini in sicurezza. Per Ankara la questione non è soltanto diplomatica, di prestigio internazionale, è domestica, perché la Turchia è fra i paesi che si affacciano sul Mar Nero di guerra, dove martedì Mosca ha detto di aver colpito una nave ucraina. Nel Mar Nero si affaccia anche la Crimea, la penisola ucraina che Mosca ha occupato nel 2014, che in questi anni ha trasformato in una base militare e che gli ucraini riescono a raggiungere con colpi a distanza. Il capo dell’intelligence militare di Kyiv, Kyrylo Budanov, e il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale ucraino, Oleksiy Danilov, hanno confermato che l’intenzione è riprendere la Crimea con ogni mezzo. Alla Crimea sono dedicati anche i piani della controffensiva, che prevedono proprio come ultimo obiettivo quello di arrivare alla penisola, prima tagliando i collegamenti che la legano via terra con i territori occupati o con la Russia. 

 

Alla vigilia della controffensiva, nessuno si aspettava che i soldati ucraini avrebbero replicato il rapido sfondamento a est che erano riusciti a realizzare a settembre dello scorso anno. Questo piano è più articolato, i russi non vogliono ripetere gli stessi errori, si sono preparati  e la fiducia degli alleati, che hanno fornito armi a Kyiv, si basava anche sulla consapevolezza di mesi duri, manovre complesse, molte perdite di mezzi, armi e soprattutto uomini. Dopo l’articolo del Washington Post della scorsa settimana, anche il Financial Times ha riportato le opinioni di alcuni funzionari americani che riferiscono di una ridotta propensione al rischio da parte degli ucraini. Anzi, gli americani valutano che  gli ucraini sono  più avversi al rischio rispetto a prima. Secondo gli analisti, l’Ucraina farà fatica a ottenere dei risultati prima che il terreno fangoso ostacoli le manovre. Secondo il Ft, uno dei punti di tensione tra i funzionari americani e ucraini è “incentrato sul modo in cui Kyiv ha dispiegato le sue forze”.

 

Secondo gli americani, l’Ucraina avrebbe fatto bene a impegnare pienamente le sue forze sull’asse principale della controffensiva a sud, con l’obiettivo di sfondare le linee russe per raggiungere il Mare d’Azov. Kyiv non soltanto ha limitato gli uomini, ma ha preferito schierare alcune unità sul fronte orientale, cercando di riconquistare Bakhmut. Nonostante la scorsa settimana siano state pubblicate le perdite di russi e ucraini in guerra, le cifre delle vittime tra i soldati tanto di Kyiv quanto di Mosca non si conoscono con esattezza. Si possono fare stime, e le prime settimane della controffensiva sono costate all’Ucraina molte perdite. Come nota Phillips O’Brien, professore di Studi strategici, l’Ucraina ha subìto più perdite in questo anno e mezzo di guerra di quante gli Stati Uniti ne abbiano subite in tutti i conflitti dalla fine della guerra di Corea, e se  per le armi può contare sul sostegno degli alleati, c’è una forza che proprio non può permettersi di sperperare perché non ne dispone in quantità illimitata: i suoi soldati. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.