Kyiv mette i droni in bella mostra

Micol Flammini

L'Ucraina fa vedere di cosa è capace nel Mar Nero proprio nel giorno i cui la sua bandiera torna nel villaggio di Urozhaine. Il Cremlino tanta una riorganizzazione con due priorità: la marcia di Prigozhin e la crisi del rublo

La prima regola della resistenza ucraina è non mostrare cedimenti, lati deboli. Non lamentarsi, andare avanti. Reagire, costi quel che costi. Mostrarsi forti anche nei momenti di sfinimento. Ieri il Servizio di sicurezza dell’Ucraina, conosciuto con l’acronimo Sbu, ha raccontato alla Cnn come è stato colpito il ponte di Kerch, che collega la Russia alla penisola di Crimea. Il ponte ha subìto due attacchi, uno a ottobre dello scorso anno, l’altro a luglio, e con una dichiarazione aperta, il capo dell’Sbu, Vasyl Maljuk, ha detto che sono stati dei droni sperimentali a colpirlo, ingegnati proprio dai servizi di sicurezza. L’Sbu ha anche affidato alla Cnn le immagini dell’attacco e dei droni che si chiamano Sea Baby o in ucraino Morski maljuk – l’ironia è duplice perché maljuk oltre a voler dire “ragazzino” è anche il cognome del capo dell’Sbu. Il direttore  dei servizi di sicurezza  ha detto che di attacchi del genere ne seguiranno altri e gli stessi droni sono stati utilizzati anche per colpire nelle ultime settimane  la nave da sbarco Olengorskij Gornjak – dall’inizio della guerra Kyiv è riuscita a mettere fuori uso cinque navi da sbarco – e la petroliera Sig nelle acque del porto di Novorossijsk. La guerra è in mare, nel Mar Nero, Mosca pensava di bloccare i movimenti commerciali di Kyiv nelle acque e Kyiv ha invece dimostrato di poter bloccare Mosca e ieri ha voluto   far vedere in che modo c’è riuscita, palesando anche che le difese russe sono scarse: un drone sperimentale può arrivare, dotato di telecamere, fino a un obiettivo strategico come il ponte di Kerch senza essere fermato, e colpire in modo reiterato. Finora Kyiv è stata sempre poco incline  a prendersi apertamente le responsabilità di certi attacchi, ma parlare chiaro serve a far vedere che non ci sono cedimenti, soprattutto nel Mar Nero, dove l’Ucraina sta cercando di sollecitare i mercantili a partire dai suoi porti anche se l’iniziativa per il trasporto del grano non sta più in piedi per colpa di Mosca. Sono azioni necessarie, anche per rispondere ai dubbi sulla controffensiva, che pure ieri ha segnato una vittoria: la bandiera ucraina è tornata nel villaggio di Urozhaine, che si trova a un centinaio di chilometri dalle città occupate di Berdyansk e di Mariupol. L’avanzata è lenta, ma va avanti,  cerca varchi tra i territori che i russi hanno minato. 

Il piano di Mosca era di arrivare alla controffensiva rafforzata, di stremare e abbattere gli ucraini, di prendere il tempo necessario per la riorganizzazione. Il Cremlino vuole tenere i territori occupati, ma c’è chi invece punta ancora ad avanzare. La riorganizzazione militare che Vladimir Putin sta cercando di portare avanti  va di pari passo però con una riorganizzazione del potere, un nuovo patto di fiducia con chi lo sostiene. La necessità c’era dall’inizio dell’invasione, ma la marcia di Prigozhin e la crisi del rublo hanno reso tutto più urgente. Il Cremlino pensa ad assicurarsi la fedeltà di chi controlla l’esercito, teme altre marce verso Mosca, ma non può fare a meno della Wagner, la mancata punizione, tuttavia, può servire da invito a chi è insoddisfatto della gestione della guerra da parte del ministero della Difesa. Sergei Surovikin, il generale che è stato a capo delle operazioni in Ucraina e ha appoggiato la marcia di Prigozhin, secondo Politico sarebbe agli arresti domiciliari, e forse potrebbe tornare ad avere un ruolo attivo. Il Cremlino appare confuso, fa e disfa, rincorre quelli che considera nemici con tentativi di avvelenamento – come ha scoperto The Insider con tre giornaliste che avrebbero rischiato la vita a Tbilisi, Berlino e Praga – ma è dipendente da chi ha dimostrato di poter sovvertire il suo potere. 

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.