Foto Ansa 

buenos aires

In Argentina il populismo di Javier Milei rischia di vincere tutto

Maurizio Stefanini

Dopo essere arrivato in testa alle primarie argentine di domenica, il leader di Libertad Avanza punta tutto sulla battaglia anticasta. Una specie di grillismo in salsa sudamericana

“Siamo in condizione di battere la casta al primo turno”, ha detto Javier Milei, dopo essere arrivato in testa alle primarie argentine di domenica col 30,4 per cento dei voti. Il boom era previsto, visto che già i sondaggi lo davano al 20 circa, rispetto al 2,8 della sua coalizione La Libertad Avanza alla sua prima uscita, due anni fa – ma già allora aveva preso il 17,04 a Buenos Aires. Ma fino a questi limiti, no. 

Facile associarlo ai Cinque stelle, anche per via di quel nome scelto per il suo partito, La Libertad Avanza, da pamphlet di Rizzo e Stella, e l’impressione aumenterebbe sapendo che vuole tagliare gli stipendi ai politici in quanto “branco di ladri e ciminali”. Ma se in Italia la battaglia anticasta dei grillini si è legata soprattutto al reddito di cittadinanza e beneficienza pubblica di stampo peronista, nel paese del peronismo questo economista dai modi da rockstar promette invece di tagliare gli stipendi ai dipendenti pubblici, “inutili parassiti”, di chiudere la Banca centrale, abolire il peso per sostituirlo col dollaro e più in generale passare sulla spesa pubblica “con la motosega”, oltre a consentire la vendita libera di armi e organi. E se è contrario all’aborto, in compenso si dice per la liberalizzazione della droga: “Il suicidio è questione privata”.

Dallo spagnolo leader di Vox Santiago Abascal all’ex presidente brasiliano Bolsonaro fino a vari dirigenti del partito di Uribe in Colombia, sono in molti i leader di destra dura che lo stanno ora acclamando, e molti lo paragonano a Trump. Perché in Milei c’è questa ideologia di stato ultraminimo ripresa dai libertarian americani. Ciò lo rende un soggetto originale nel panorama del populismo in generale e di quello di destra in particolare: anche se, avverte il politologo olandese Cas Mudde, alla fine il populismo non è tanto una ricetta specifica, ma una piccantissima spezia che può condire piatti diversissimi. Rendendoli simili al palato, anche se il loro potere nutritivo resta poi assai diverso.  

 

Nato a Buenos Aires il 22 ottbre 1970, Milei farà dunque 53 anni nel giorno in cui si terranno le politiche e il primo turno delle presidenziali. Pettinatura arruffata a caschetto da motociclista e “occhi color del cielo” per cui si identifica con un leone la cui testa sputafuoco è il logo della sua campagna elettorale, toni aggressivi e anche violenti, laurea in Economia all’Università di Belgrano più altri due diplomi post-laurea, già consulente economico per varie organizzazioni e candidati politici prima di approdare alla società degli aeroporti, iniziò a farsi conoscere al grande pubblico per articoli e interventi tv  sopra le righe che ne facevano un fenomeno da baraccone. Utile però a fare audience, secondo un tipo di logica da talk show che in Italia conosciamo bene. Ma alla fine è decollato come leader, in un paese con una inflazione al 115 per cento che resta indomabile anche dopo che la gente ha posto fine al lungo dominio peronista per votare il “Berlusconi argentino”, Mauricio Macri, e poi ha votato anche contro Macri per riportare al potere i peronisti. Ennesima dimostrazione di come in America latina in questo momento non ci sia la “ondata a sinistra” fantasticata da osservatori disattenti, ma piuttosto un ciclo in cui vince quasi sempre chiunque stia all’opposizione. Questo voto corrisponde a quel curioso tipo di primarie obbligatorie che è stato istituito in Argentina nel 2009, e che in pratica  ad agosto anticipa il risultato di ottobre, visto che chi non vota è soggetto a multe, e solo una minoranza di elettori cambia orientamento in tre mesi. 

Stando al risultato di domenica, il 22 ottobre si andrebbe dunque a un ballottaggio tra centrodestra e destra dura. Dopo Milei, secondo è in effetti  il ministro dell’Economia Sergio Massa, che nel 2015 era stato leader di una terza forza peronista e nel 2019 si era unito al Frente de Todos di Alberto Fernández e Cristina Kirchner. Alberto Fernández non si ricandida e Cristina ha gravi problemi giudiziari, per cui l’Unione per la Patria, nuova denominazione della sinistra peronista, ha presentato lui, che ha avuto il 21,4, e il sindacalista di sinistra Juan Grabois, al 5,87. Ma la loro somma, il 27,27 per cento, è inferiore al 28,28 dei due candidati del centrodestra di Macri assieme: il presidente del partito Proposta Repubbicana e ex ministro della Sicurezza, Patricia Bullrich, al 16,98; e il sindaco di Buenos Aires Horacio Rodríguez Larreta, all’11,30. Sarebbe quindi Milei contro Bullrich, a meno che Massa non riesca a recuperare un  punto tra candidati minori di sinistra e peronisti, o la stessa Bullrich non perda qualcosa rispetto a un Milei ormai lanciato. Ma è presumibile che Massa contro Milei sarebbe senza storia, col voto in massa dell’elettorato macrista per il libertario. Resta l’incognita di che farebbe la sinistra in caso di secondo turno tra Milei e Bullrich. Voto anti-estrema destra stile Macron contro Marine Le Pen? O astensione e scheda bianca in massa? O addirittura voto per Milei in odio ai macristi? In tre scenari su quattro, avremmo Milei alla Casa Rosada.

Di più su questi argomenti: