Una riunione dei capi di stato maggiore dei paesi dell'Ecowas (foto Ansa)

negoziati difficili

Il generale, il presidente e il ribelle. Chi vuol fare da mediatore in Niger

Luca Gambardella

Dal capo di stato maggiore dei golpisti, Barmou, al presidente dell'Algeria, fino al leader turareg. È aperto il casting per il ruolo di interlocutore con la giunta golpista. Oggi nuovo vertice Ecowas in Nigeria

La ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi in Niger passa per la difficile ricerca di un interlocutore. Impresa ardua, data l’intransigenza della giunta militare che il mese scorso ha sollevato il presidente legittimo, Mohamed Bazoum.  A certificare quanto sia difficile farsi ascoltare dai militari, martedì  una missione diplomatica inviata a Niamey da Ecowas, Unione africana e Nazioni Unite è stata allontanata prima ancora di avere incontrato i golpisti. Oggi ad Abuja, ospiti del presidente nigeriano Bola Tinubu, si riuniscono i leader dell’Ecowas, la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale. Si cercherà di aprire al dialogo con i militari guidati da Abdourahamane Tiani. Dopo l’ultimatum scaduto lunedì senza dare seguito alle minacce di un intervento armato, ora la priorità  sembra quella di evitare la guerra. Lo ha chiarito martedì il segretario di stato americano, Antony Blinken: “Non c’è dubbio che la via diplomatica sia la preferita per risolvere la crisi. Questo è l’approccio dell’Ecowas ed è anche il nostro”. A ben vedere, la posizione dei leader dell’Africa occidentale in questi giorni è parsa più composita. Bola Tinubu e altri capi di stato della regione temono l’effetto contagio dell’ondata golpista e coltivano l’idea che serva una qualche forza di deterrenza contro i putchisti. “Non scartiamo alcuna opzione”, ha avvisato il presidente nigeriano. 

 

 

Ma per gli Stati Uniti – così come per gli europei – si deve dare altro tempo ai negoziati. Secondo il Wall Street Journal, il dipartimento di stato americano ha già trovato l’interlocutore giusto. Si tratta di Moussa Salaou Barmou, un generale nigerino che Washington conosce bene. Formato nelle accademie militari americane, Barmou era l’uomo degli Stati Uniti in Niger in qualità di comandante delle forze speciali del paese. I suoi uomini addestrati dai Berretti verdi americani erano diventati un reparto rispettato e preparato. Dopo il golpe del 26 luglio, Barmou è stato nominato capo di stato maggiore, ma agli occhi del dipartimento di stato avrebbe tutto l’interesse a non chiudere la porta agli americani. Andando avanti a oltranza schierandosi con il golpisti, Barmou dovrebbe fare a meno in via definitiva dell’aiuto militare degli americani, restando da solo a guidare la guerra contro gli islamisti di al Qaida, Stato islamico e Boko Haram. Lunedì a Niamey, la vicesegretaria di stato, Victoria Nuland, si è seduta a un tavolo e ha discusso proprio con Barmou per aprire un canale di dialogo con la giunta. Per stessa ammissione di Nuland, i risultati sono stati scarsi, anche perché la posizione americana è ferma: Bazoum deve tornare al suo posto e i militari devono farsi da parte. Il negoziato è difficile, ma almeno gli americani non sono stati messi alla porta. 

 

Oltre agli interlocutori interni al Niger, serve anche un mediatore terzo e credibile. Negli ultimi giorni si sta accreditando come tale l’Algeria di Abdelmadjid Tebboune, che si è già detto disponibile “per aiutare il Niger a ricompattarsi”. “Non ci sarà nessuna soluzione senza di noi. Siamo i primi a essere coinvolti”, ha dichiarato. Lo sanno bene gli americani. Da lunedì, il ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, è a Washington dove ha incontrato Blinken per discutere della crisi in Niger. Proprio in qualità di paese non allineato, in grado di parlare con tutti – con i russi come con gli europei e gli americani – Tebboune risponde all’identikit perfetto del mediatore. Tutti, persino i francesi, sanno che senza il suo via libera difficilmente si riuscirebbe a smuovere qualcosa nella regione. Nel 2015 fu proprio grazie alla mediazione di Algeri che il governo del Mali e i combattenti del nord firmarono il trattato di pace poi stracciato dal colpo di stato del 2021. E anche nel 2017 Emmanuel Macron fu costretto a chiedere all’allora presidente Abdelaziz Bouteflika di dare il suo contributo per  stabilizzare il Mali.

 

Poi c’è anche chi si candida a leader del movimento di resistenza contro i golpisti nigerini. Fra questi c’è Rhissa Ag Boula, ex ministro della Sicurezza del presidente Bazoum. Ieri, Rhissa ha annunciato la creazione di un Consiglio di resistenza per la Repubblica in cui condanna il golpe. Capo tuareg, Rhissa è un combattente che per anni ha lottato contro lo stato centrale contestandone il centralismo e l’autorità e rivendicando l’autonomia dell’Azawagh e dell’Aïr, nel nord-ovest del paese. Gode di ben poca stima a Niamey – e ancor meno all’estero – tanto che quando Bazoum lo nominò ministro fu criticato per avere scelto un sovversivo ex  ribelle. Oggi assicura di volere ristabilire nel paese i valori democratici e l’ordine costituzionale. Difficile dargli credito.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.