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I non interventisti

Il Niger chiude lo spazio aereo, l'Ecowas fa i suoi conti militari. Per ora lo scontro è rimandato

Luca Gambardella

Al conflitto, la Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale preferisce i negoziati. Per ora nessuno di questi paesi sembra volere andare in fondo nella minaccia di una guerra regionale che vada a scapito della propria sicurezza interna

La prospettiva di una guerra regionale per rimuovere il governo golpista del Niger è congelata dalle divisioni all’interno del blocco dei paesi della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas). L’ultimatum imposto ai golpisti è scaduto lunedì a mezzanotte, ma non si segnalano ancora movimenti militari significativi ai confini del paese. Abdourahamane Tiani, il generale che ha preso il potere a Niamey spodestando il presidente legittimo, Mohamed Bazoum, ha dislocato solo poche centinaia di uomini alla frontiera meridionale con Nigeria e Benin e ha chiuso lo spazio aereo. Secondo le testimonianze che arrivano dalla capitale, anche i mezzi messi in allerta sarebbero finora modesti – qualche elicottero e tre droni turchi Bayraktar. A nord, l’Algeria ha spostato uomini e mezzi lungo la frontiera, ma il presidente Abdelmadjid Tebboune ha già detto di essere contrario a qualunque mossa che potrebbe “infiammare la situazione nel Sahel”.

In Nigeria, il paese che nelle intenzioni dovrebbe prendere la guida di un eventuale intervento armato in Niger, si va affermando una posizione di cautela che con il passare delle ore si trasforma in una volontà a dare seguito agli sforzi diplomatici, magari insistendo con l’arma delle sanzioni economiche. Ieri, il Wall Street Journal ha citato una fonte militare dell’Ecowas che ha scartato l’ipotesi di un intervento armato a stretto giro: “Prima di intraprendere un’operazione dobbiamo rafforzare le nostre unità. Il successo di ogni intervento militare sta in una buona preparazione”. La questione non è semplicemente militare, ma anche politica. Fra i paesi dell’Ecowas e del Sahel, il fronte del non interventismo è prevalente. Oltre a Mali e Burkina Faso – i due alleati dei golpisti che sono stati sospesi dalla Comunità dopo i loro golpe interni – anche Algeria, Mauritania, Benin e Costa d’Avorio si oppongono a una guerra. In Nigeria, il Senato ha condannato il colpo di stato ma ha anche chiesto al presidente Bola Tinubu di insistere sulla via diplomatica. Ad Abuja è iniziata una vasta campagna mediatica e politica di condanna alla posizione interventista del presidente al di fuori dei confini del paese. La priorità deve essere la guerra interna contro le milizie islamiste e il terrorismo, dicono i giornali nigeriani. I piani di Tinubu sono diversi. Il presidente vorrebbe rilanciare il primato regionale della Nigeria con un nuovo intervento armato, come fatto negli anni passati già in Guinea-Bissau, Senegal e Gambia. A oggi l’esercito, che conta 223 mila unità e dispone di un’aviazione militare moderna, è dislocato in 30 dei 36 stati del paese per combattere i jihadisti. Sebbene quelle nigeriane siano le forze armate più numerose e meglio equipaggiate della regione, deviare la loro attenzione sui golpisti del Niger è considerato un rischio troppo elevato per la sicurezza interna. Il confine fra i due paesi è lungo oltre 1.600 chilometri e, considerando l’estensione del teatro di guerra, un eventuale intervento potrebbe richiedere una quantità di tempo e di risorse difficilmente quantificabile. Al netto delle difficoltà operative e delle possibili ripercussioni sulla sicurezza del paese, ci sono poi le valutazioni politiche. Tinubu, che è originario del sud della Nigeria, deve anche fronteggiare le resistenze che arrivano dal suo stesso esercito, dove la lingua prevalente è l’Hausa, la stessa parlata in Niger e nel nord della Nigeria. 

Per ora nessuno fra i paesi dell’Ecowas sembra volere andare in fondo nella minaccia di una guerra regionale che vada a scapito della propria sicurezza interna. E di converso, anche i paesi del blocco golpista e filorusso soffrono degli stessi problemi. Solo nelle ultime 48 ore sia in Mali sia in Burkina Faso sono state decine i civili uccisi dai miliziani di Jamaat Nusrat al Islam wa al Muslimin (Jnim), il cartello di milizie che ha giurato fedeltà ad al Qaida. A Bodio, un villaggio a sud del Mali e non distante dal confine con il Niger, sono morte 17 persone e altre decine sono state catturate dai miliziani. In Burkina Faso un attacco di Jnim ha preso di mira le auto che circolavano lungo una strada vicino Boulgou, nell’est del paese, uccidendo 26 persone. Alla fine potrebbe essere proprio la comune minaccia jihadista, trasversale a convincere tutti della convenienza di insistere sulla strada dei negoziati.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.