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battaglia sul mar nero

Le operazioni di Kyiv contro le navi russe dimostrano a Mosca che anche le sue rotte non sono al sicuro

Federico Bosco

La controffensiva sul mare. L'Ucraina dichiara sei porti russi obiettivi legittimi. La strategia per riportare la Russia agli accordi sul grano. Continua anche il lavoro diplomatico dopo la riunione di Gedda

La decisione di Vladimir Putin di mettere nuovamente sotto assedio il Mar Nero  ha segnato un punto di non ritorno nella guerra, ma non nella direzione desiderata dal Cremlino.  Dopo i ripetuti attacchi di Mosca a obiettivi civili legati anche  alle esportazioni del grano, Kyiv ha risposto colpendo con un drone marino prima una nave da guerra ormeggiata nel porto di Novorossiysk, e il giorno dopo una petroliera russa vicina allo Stretto di Kerch, dimostrando di poter colpire con precisione obiettivi a grande distanza fino alle coste russe del Mar Nero. Le operazioni ucraine sono state calibrate nel dettaglio: l’attacco alla nave da sbarco Olenegorsk Gornyak ha bloccato il traffico portuale russo per la prima volta dall’inizio della guerra, mentre l’attacco alla petroliera è stato effettuato indirizzando il drone marino contro la sala macchine, evitando   di causare uno sversamento in mare. 

Inoltre, la petroliera stava trasportando un carico di carburante destinato alle Forze armate in Crimea, non a un paese terzo.  Ciò nonostante Mosca ha condannato gli attacchi definendoli “atti di terrorismo”, con la solita ipocrisia di chi chiede comprensione e solidarietà mentre continua a chiamare “operazione militare speciale” la distruzione di obiettivi civili ucraini, come i recenti attacchi al centro trasfusionale di Kharkiv e ai terminal del grano a Izmail, lungo il Danubio, a poche centinaia di metri dal confine con la Romania (paese membro della Nato). Dall’uscita dall’accordo del grano gli obiettivi della Russia sono stati molto chiari: rendere troppo pericoloso e non assicurabile il trasporto marittimo di grano dall’Ucraina, distruggere le infrastrutture del paese sia nel golfo di Odessa sia lungo la rotta alternativa del Danubio, e offrirsi di colmare questo vuoto con il grano dei propri raccolti, da usare come strumento di soft power (ai limiti del ricatto) nei confronti di alcuni paesi dell’Africa e del medio oriente.  L’Ucraina non è  disposta a tollerare questa sproporzione e  ha reagito allargando la portata delle sue operazioni in un modo che probabilmente al Cremlino nessuno aveva previsto. 

 

Dopo gli attacchi con i droni marini Kyiv ha annunciato che i sei porti russi del Mar Nero – Taman, Anapa, Novorossiysk, Gelendzhik, Tuapse e Sochi – saranno considerati obiettivi legittimi.  “Due possono giocare a questo gioco”, ha postato sabato scorso il ministero della Difesa ucraino dal suo account Twitter, una frase enigmatica pubblicata poco dopo un messaggio molto più chiaro che si concludeva dicendo: “E’ ora di dire agli assassini russi che per loro non ci sono più acque sicure o porti tranquilli nel Mar Nero e nel Mar d’Azov”. 

 

Per la prima volta le Forze armate ucraine mettono in pericolo la rotta delle esportazioni di materie prime della Russia attraverso il Mar Nero, per cui passa la maggior parte dei flussi di grano e fertilizzanti russi e una quota che va dal 15 al 20 per cento del greggio degli Urali che ogni giorno parte per raggiungere i mercati globali. I porti del Mar Baltico e Artico sono troppo distanti per rappresentare un’alternativa, specialmente per le esportazioni di grano. La Russia esporta da Novorossiysk circa 500 mila barili al giorno di greggio degli Urali, e altri 450 mila barili di prodotti raffinati, principalmente gasolio e altri carburanti. Nelle vicinanze ci sono anche i terminal del Caspian Pipeline Consortium (Cpc), oleodotto da cui passano i circa 1,3 milioni di barili al giorno di petrolio del Kazakistan destinato all’Europa, ma da settembre dell’anno scorso il petrolio kazako passa in misura crescente anche per l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, evitando la Russia. 

Questo i russi non se l’aspettavano. Se con gli attacchi dei droni in territorio russo Kyiv cerca di trasmettere alla popolazione e alle élite russe il messaggio che la guerra può colpire il loro territorio, con gli attacchi dei droni nel Mar Nero sta dimostrando che se vuole può prendere di mira le infrastrutture critiche fondamentali per le esportazioni russe. L’obiettivo dell’Ucraina è solo tornare a esportare grano e cereali spingendo la Russia a ripristinare l’accordo mediato da Turchia e da Nazioni Unite, o almeno a lasciar stare il golfo di Odessa e il delta del Danubio. 

 

La controffensiva nel Mar Nero è accompagnata da una più vasta controffensiva diplomatica, che dopo i colloqui di Gedda di questo fine settimana in cui i rappresentanti di 40 paesi (compresa la Cina) si sono riuniti per esaminare la proposta di pace in dieci punti di Volodymyr Zelensky, prosegue con i tentativi di Recep Tayyip Erdogan di convincere Putin a ripristinare l’accordo del grano e riprendere i colloqui di pace con l’Ucraina partendo da un cessate il fuoco.

 

Secondo una fonte del governo turco ascoltata dall’agenzia statale russa Ria Novosti, Erdogan offrirà la sua mediazione a Putin durante l’incontro che si dovrebbe tenere a breve ad Ankara. Ma probabilmente anche questo al Cremlino non se l’aspettano, essendo un regime alla deriva dove l’intensità delle menzogne è diventata talmente pervasiva da rendere irriconoscibile anche la realtà più evidente.

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