parola d'ordine

La “rappresaglia” di Mosca contro Odessa e contro gli scontenti

Micol Flammini

La Russia bombarda il porto simbolo del grano, ammassa nuovi uomini e dimostra che le sue ambizioni sull’Ucraina sono ancora totali

La parola “rappresaglia” è uscita dalle labbra del portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, per giustificare l’attacco contro il porto di Odessa. La notte dopo la scadenza dell’accordo sul grano che Mosca non ha voluto rinnovare, l’esercito russo ha colpito la città che di quell’accordo è il simbolo, che ospita i mercantili diretti in tutto il mondo e che da un anno potevano navigare nel Mar Nero nonostante la guerra. I colpi contro Odessa sono stati dei colpi contro il grano, ma il Cremlino ha detto di aver voluto bombardare la città perché dal suo porto sono partiti i droni marini responsabili di  aver danneggiato il ponte  che collega la Crimea alla Russia. Di “rappresaglia” ha parlato anche il ministero della Difesa, dicendo che “armi ad alta precisione” sono state utilizzate contro strutture “in cui si stavano preparando attacchi terroristici”. Gli allarmi antiaereo però sono suonati in sette regioni ucraine, indipendentemente dal loro valore militare. 

  

La guerra russa contro l’Ucraina continua a essere totale, le mire di Mosca nei confronti dell’intero territorio di Kyiv non sono mai scomparse, anche se al Cremlino conviene far credere che il conflitto sia diventato regionale, confinato nella parte meridionale e orientale del paese invaso. Conviene perché un conflitto regionale ha meno risonanza, come era accaduto con la guerra nel Donbas del 2014, aiuta la distrazione e favorisce la Russia che però, mentre la controffensiva ucraina procede seppur arrancando tra le mine, ha iniziato ad ammassare centomila truppe e novecento carri armati nella zona di Lyman e Kupiansk, che era stata liberata da Kyiv a settembre dello scorso anno. Oleksander Syrskyj, il generale famosissimo per aver cacciato i russi via dalla regione di Kharkiv in modo rapido ed efficace, ha detto che la situazione a est è complicata ma sotto controllo e i russi stanno cercando di portare rifornimenti a Bakhmut. Rappresaglia e riorganizzazione sono le parole con cui Mosca sta cercando di rispondere alla controffensiva di Kyiv e anche alle crepe che si sono aperte dentro alla politica russa. 

  

Il dibattito sulle “rappresaglie” anima i salotti televisivi russi, tra i conduttori, anche i più fedeli al Cremlino chiedono misure più forti. Olga Skabeeva, che conduce sul Primo canale il programma “60 minuti”, ha iniziato a invocare soluzioni “da grande potenza”, dando addosso a un ospite che giustificava  le difficoltà di Mosca. Lo spazio per ascoltare le scuse si fa sempre più ristretto, al Cremlino non è sfuggita la curiosità dei russi nei confronti della marcia di Evgeni Prigozhin, che testimoniava l’interesse per un’alternativa a Putin; e non basta più solleticare il vittimismo o  la storia della Russia accerchiata per raggruppare tutti attorno al presidente.

 

Igor Girkin, conosciuto come Strelkov, che vuol dire cecchino, sparatore, condannato per l’abbattimento del volo Mh17, ha iniziato a parlare sempre di più, a uscire dall’ombra e ha seguito. Recentemente, apparendo in un video con dietro le spalle la bandiera della Novorossja, l’entità mai nata che avrebbe dovuto comprendere le sedicenti repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, Girkin ha commentato le azioni militari di Mosca e ha imputato gli insuccessi militari  alla corruzione della classe politica, un argomento che in Russia ha molta presa. Ha commentato l’accordo sul grano e ha suggerito che prima o poi a Mosca non rimarrà altra scelta che entrare in guerra con la Turchia, perché storicamente le due nazioni sono nemiche, soltanto che adesso il Cremlino  si è fidato di Ankara. Ha suggerito che questo scontro con la Turchia potrebbe essere in Siria o in altri territori in cui le due nazioni si trovano vicine ma rivali, ha definito Putin “un pidocchio” e ha avvisato che se continua così, la Russia sarà distrutta militarmente in autunno.  La parola d’ordine “rappresaglia” serve al Cremlino anche per frenare le recriminazioni. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.