nel donetsk

In Ucraina Mosca bombarda i soccorritori

Micol Flammini

Un primo attacco in una zona con palazzi, un albergo e un ristorante. Trentasette minuti dopo, un secondo attacco contro i soccorsi. Il metodo siriano a Pokrovsk

I bombardamenti russi contro l’Ucraina seguono tre modelli. Alcuni colpiscono infrastrutture militari; molti quelle civili, come le centrali elettriche e idriche, i porti marittimi e fluviali, i depositi di grano; altri i palazzi residenziali, i ristoranti, i bar, i centri della vita e della quotidianità stravolti di un popolo invaso. Ci sono momenti in cui Mosca si concentra sulle une o sulle altre e ci sono giorni in cui invece punta su tutto. Lunedì i missili russi hanno colpito un’area residenziale, dove si trovano l’hotel Druzhba, che vuol dire amicizia, e la pizzeria Corleone a Pokrovsk, città nella regione di Donetsk, considerata a distanza di sicurezza dalla linea del fronte. Sono morte otto persone, i feriti sono più di ottanta e ancora si cerca tra le macerie. Dopo aver colpito gli edifici, mentre i soccorritori erano già sul posto, un secondo round di bombardamenti ha colpito trentasette minuti dopo lo stesso identico posto, quindi anche i soccorritori. Il ministro dell’Interno Ihor Klymenko ha ordinato di sospendere tutte le operazioni di ricerca, perché andare sul posto era troppo pericoloso, rallentando così le manovre di salvataggio ed estrazione dalle macerie.

 

Già a Kherson la scorsa settimana, l’esercito russo aveva centrato l’area in cui si trova la cattedrale di Santa Caterina, colpendo anche un autobus pieno di gente che andava a lavoro. Poco dopo l’arrivo dei vigili del fuoco, la zona è stata bombardata di nuovo. Il copione si è ripetuto altre volte, sempre a Kherson, e anche a  Kharkiv. Colpire, aspettare l’arrivo dei soccorritori e colpire di nuovo è un metodo ed è un crimine di guerra, al quale Mosca, come altri regimi, non è nuova. Durante la guerra in Siria bombardare, aspettare e ricolpire con la consapevolezza di puntare sui soccorritori ha raddoppiato il numero delle vittime, reso difficili, se non impossibili, molte operazioni di salvataggio, è costata la vita a diversi civili e soccorritori ed è stata  messa in pratica dall’aviazione di Bashar el Assad e dalla Russia. 

 

L’hotel Druzhba è il sesto albergo distrutto da un bombardamento nella parte ancora controllata da Kyiv nella regione di Donetsk, era molto frequentato da giornalisti, proprio perché era considerato sicuro, sufficientemente lontano dal fronte. Adesso rimangono soltanto tre strutture in tutta la parte di oblast libera. Il simbolo della città di Pokrovsk – che fino al 2016 si chiamava Krasnoarmijs’k, ma il nome dedicato all’Armata rossa venne sostituito assieme ad altri toponimi  sempre di origine sovietica – è una colomba che vola nel cielo azzurro e tiene un ramoscello in bocca, un’immagine di pace che sfida il fronte. Dopo la notizia dei bombardamenti sui civili, Mosca ha detto di aver colpito un centro di comando militare ucraino, giustificando quindi di aver mirato a un obiettivo legittimo e rivendicando la sua distruzione. Kyiv ha smentito, ha detto che se il Cremlino non la smetterà di bombardare, il prossimo passo sarà lasciare Mosca senza navi nel Mar Nero, dove i droni marini di manifattura ucraina stanno assestando dei colpi significativi contro navi da guerra e anche petroliere russe, colpendo l’esercito e il commercio di Mosca insieme. Oggi anche la controffensiva ha registrato movimenti importanti a sud del fiume Dnipro, i soldati ucraini hanno preso alcune fortificazioni a ovest del villaggio di Kozachi Laheri, un buon punto per far arrivare mezzi pesanti, costringendo i russi a riorganizzarsi: sono state fonti di Mosca a riportarlo. 

 

Oggi Vladimir Putin ha sospeso una serie di accordi fiscali  con alcuni paesi designati come ostili, inclusa l’Italia. Mentre il vertice di Gedda, che si è tenuto nella città saudita il fine settimana scorso, ha fatto sentire Kyiv meno isolata, circondata da alleati, che oggi hanno promesso nuove munizioni, e da paesi che si dicono neutrali ma che hanno comunque accettato di partecipare a un incontro senza la Russia, Putin sente l’isolamento e a Gedda ha ricevuto un segnale: se si parla di guerra, pace, mediazioni lo si fa senza di lui. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.