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Economia

Convergenze e divergenze di interessi tra Russia e Arabia Saudita sul petrolio

Federico Bosco

Riad aumenta le importazioni di petrolio russo a prezzo ridotto (grazie alle sanzioni) per esportare il proprio. Così si provano a bilanciare le diverse necessità dei due paesi 

Tra i russi e i sauditi ultimamente non scorre buon sangue, ma in qualche modo i due leader della versione allargata dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec+) stanno riuscendo a far convivere gli interessi divergenti senza arrivare a uno scontro, almeno per ora.

L’Arabia Saudita ha bisogno di tenere alti i prezzi del barile per finanziare i progetti faraonici di Vision 2030 con i quali Mohammed bin Salman sogna di diversificare l’economia del regno per liberarlo dalla dipendenza dalle rendite petrolifere, la Russia ha bisogno di vendere più barili possibile del suo petrolio sanzionato per finanziare un bilancio cronicamente in deficit a causa del costo della sua guerra d’aggressione contro l’Ucraina. Ciò significa che Riad preme per una riduzione della produzione per far salire i prezzi dei benchmark globali del petrolio (Brent e Wti), mentre Mosca, preso atto che il prezzo del Brent fa  fatica a sfondare gli 80-85 dollari (i sauditi puntano a 90-100 dollari) cerca di ottenere il massimo dal suo greggio degli Urali che tra sanzioni e sconti viene venduto tra i 50 e i 60 dollari al barile.

Nell’ultima riunione dell’Opec+ a inizio giugno i sauditi si sono fatti carico di un taglio unilaterale della produzione, mentre la Russia e gli altri paesi si sono limitati a estendere fino a fine anno i tagli già concordati. Tagli che però sono giudicati insufficienti dall’Arabia Saudita e che vengono rispettati solo in parte da membri del cartello, soprattutto nel caso della Russia che aveva prima minacciato (l’occidente) e poi promesso (ai sauditi) un taglio di 500 mila barili al giorno che non si è mai concretizzato pienamente. Secondo i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), nel mese di aprile le esportazioni di petrolio russo hanno raggiunto il livello più alto rispetto a qualsiasi altro mese dopo l’invasione. A confermare i sospetti alimentati dai dati rilevati da diversi istituti di monitoraggio è stato Vladimir Putin in persona, che al forum economico di San Pietroburgo si è vantato dell’aumento della produzione e delle esportazioni di petrolio.

Oltre all’India e alla Cina però, ultimamente a comprare grandi quantità di barili russi sono anche la stessa Arabia Saudita e altri paesi del Medio Oriente. Dai dati della società di analisi Kpler risulta che a luglio i sauditi stanno importando 193 mila barili al giorno di olio combustibile russo per soddisfare la domanda interna di energia estiva, a giugno le importazioni di prodotti raffinati russi sono state anche dieci volte superiori rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Inoltre, dall’inizio dell’anno Riad sta acquistando milioni di barili di diesel russo. 

L’Arabia Saudita sta cercando di compensare, almeno in parte, il taglio aggiuntivo di un milione di barili al giorno, importando per l’uso interno il greggio e i prodotti raffinati russi acquistati a prezzi scontati, ottenendo più spazio per immettere sul mercato una quota maggiore dei suoi barili di petrolio, più pregiato e soprattutto non sanzionato, da vendere a prezzi di mercato agli acquirenti europei. Tuttavia, sebbene la Russia sia riuscita ad aumentare costantemente il volume delle esportazioni di petrolio, secondo i dati del Ministero delle finanze russo nei primi sei mesi del 2023 le entrate da petrolio e gas sono crollate del 47 per cento rispetto allo stesso periodo del 2022. Le sanzioni stanno limitando drammaticamente a capacità di Mosca di trarre profitto dai suoi idrocarburi.

In base alle stime della Kyiv School of Economics, rafforzando il rispetto delle sanzioni attuali – embargo europeo e price cap del G7 per il petrolio e per i prodotti petroliferi trasportati via mare – le entrate della Russia si ridurrebbero a 132 miliardi di dollari nel 2023 e 105 miliardi nel 2024, quasi la metà rispetto ai 218 miliardi del 2022. Se invece il price cap sul petrolio venisse abbassato da 60 a  50 dollari e fatto rispettare in maniera più stringente, i ricavi di Mosca crollerebbero a 104 miliardi di dollari nel 2023 e 51 miliardi nel 2024. Un buon motivo per farlo, o almeno iniziare a pensarci seriamente.

Nel frattempo, la Russia sta iniziando a tagliare realmente la produzione rivendicando la decisione, sia perché è il momento dell’anno migliore per farlo sia per non mettere eccessivamente alla prova la tolleranza dei sauditi.