trasparenza

Dopo le rivolte Macron dà un ultimatum a TikTok. L'opacità e le ombre cinesi

Mauro Zanon

La Commissione d'inchiesta del Senato francese è pronta a sospendere il social network di Pechino in caso di mancati chiarimenti. I legami con la Cina e mancata moderazione dei contenuti i temi al centro della controversia

TikTok, il popolare social network cinese di proprietà di ByteDance, ha meno di sei mesi di tempo per chiarire la natura dei suoi legami con le autorità cinesi, mettere in pratica una politica di moderazione dei contenuti occhiuta e verificare l’età effettiva degli utenti: pena la sospensione del servizio in Francia a partire dal primo  gennaio 2024. L’ultimatum è stato lanciato dalla Commissione d’inchiesta del Senato francese guidata dal senatore del gruppo Indépendants – Républiques et territoires, Claude Malhuret, e incentrata sullo studio del funzionamento e della strategia di influenza dell’applicazione cinese.

“Siamo rimasti colpiti dall’opposizione esistente tra la parola ‘trasparenza’, leitmotiv della comunicazione di TikTok, e la realtà di un’opacità apertamente voluta”, ha dichiarato Malhuret durante la conferenza stampa di presentazione dei risultati. André Gattolin, senatore della République en marche e vice presidente della Commissione d’inchiesta, ha manifestato le sue perplessità sul modello finanziario di TikTok, “che lascia pensare che non si tratti di un’azienda economica ma di un’azienda politica volta a raccogliere dati personali”. Il titolo del rapporto, “La tattica TikTok, opacità, dipendenza e ombre cinesi”, spiega bene quale sia l’intenzione della Francia, ossia quella di essere l’apripista in seno all’Unione europea di uno scontro totale contro la piattaforma di condivisione video, perché ne va della “sicurezza nazionale”, secondo le parole dei senatori francesi.

Proprio in questi giorni, sullo sfondo delle rivolte delle banlieue, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, aveva bacchettato TikTok, ma anche Snapchat, invitando le piattaforme  a cancellare i contenuti “più sensibili”, ossia i filmati che mostravano le devastazioni e i saccheggi, e ad avere “uno spirito di responsabilità”. “Le piattaforme e i social network hanno un ruolo considerevole nei movimenti di questi ultimi giorni. Abbiamo visto che su alcuni di loro, Snapchat e TikTok, si sono organizzati i raduni, ma c’è anche una forma di mimetismo della violenza. Fatto che, tra i più giovani, porta a una forma di uscita dalla realtà”, ha tuonato Macron la scorsa settimana, minacciando sanzioni contro l’app cinese, come il ritiro o il divieto di accesso ad alcuni contenuti. La possibilità di bloccare alcune funzionalità del social cinese in caso di nuovi “problemi di ordine pubblico” è stata confermata ieri anche dal portavoce dell’esecutivo francese, Olivier Véran, e in un’intervista all’Obs dal ministro per la Transizione digitale, Jean-Noël Barrot.

Il presidente della Commissione d’inchiesta, Claude Malhuret, punta il dito contro “il rischio che rappresenta un’applicazione ampiamente diffusa come TikTok, i cui contenuti, come è stato dimostrato, potrebbero essere distorti a beneficio delle autorità cinesi, interessate ad alimentare disordini suscettibili di indebolire l’immagine della democrazia”. Le domande poste ripetutamente dalla Commissione, sia oralmente che per iscritto, sono rimaste senza risposte chiare da parte della dirigenza della piattaforma. In particolare, “non sono mai giunte le precisazioni richieste su questioni che vanno dalla tipologia di dati personali trasferiti a Pechino al funzionamento del suo algoritmo”. “Abbiamo ricevuto solo un 20 per cento di risposte”, ha dichiarato il senatore socialista Mickaël Vallet, copresidente della Commissione, che invita il governo a “sospendere TikTok in Francia” e a “chiederne anche la sospensione nell’Unione Europea” senza chiarificazioni e adeguamenti nei prossimi sei mesi. Malhuret ha insistito durante la conferenza stampa sulla dipendenza di TikTok dalla casa madre ByteDance, società con sede alle Isole Cayman, ma detenuta e controllata da azionisti cinesi con evidenti rapporti col Partito comunista cinese

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