La strada delle armi

Le armi occidentali arrivano a Putin. I trafficanti, le rotte e il messaggio di Prigozhin

Paola Peduzzi

Un'inchiesta di Politico racconta che il materiale bellico prodotto in occidente arriva a Mosca. Si rinforzano le priorità di Europa e America per colpire chi vìola le sanzioni alla Russia

Tre giornalisti di Politico hanno fatto un’inchiesta sui materiali bellici prodotti in occidente che arrivano in Russia: raccontano che, nonostante le sanzioni molto pesanti e rigorose che sono state imposte al regime di Vladimir Putin, il flusso di armi o di componenti di armi non si è interrotto, vive soprattutto sul mercato nero, ma non solo. Questa dettagliata indagine arriva nel momento in cui Vladimir Putin convoca una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulle forniture di armi occidentali all’Ucraina e l’Unione europea discute l’undicesimo pacchetto di sanzioni contro l’elusione delle misure sanzionatorie già esistenti. La discussione è in corso, la decisione è prossima ma dilazionata  pur essendo di grande importanza. 

 

E’ anche un passo senza precedenti perché il pacchetto in discussione potrebbe colpire altri paesi che aiutano Mosca a bypassare l’embargo commerciale: Kyiv ha compilato una lista di aziende e istituzioni finanziarie che considera “sponsor del terrorismo russo” ma alcuni paesi hanno obiettato e vogliono che la lista sia rivista. In particolare i due paesi più battaglieri sono la solita Ungheria, che si mette di traverso a ogni discussione, e la Grecia che ha avuto fin dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina molte difficoltà soprattutto a individuare e congelare gli asset degli oligarchi che operano sul territorio greco. All’inizio di giugno, durante un incontro a Stoccolma organizzato dall’European Council on Foreign Relations, il coordinatore delle sanzioni al dipartimento di stato americano, James O’Brien, ha detto: “Nei primi mesi dell’anno, la Russia è stata in grado di reimportare alcune categorie cruciali di prodotti elettronici a livello pre invasione”, sottolineando che Mosca ha intensificato gli sforzi per aggirare le sanzioni. O’Brien, che faceva riferimento a chip, processori e circuiti integrati che servono per costruire le armi moderne, ha spiegato che le aziende europee vendono i loro prodotti ad altri paesi, che a loro volta  li rivendono alla Russia, come Turchia, Armenia, Kazakistan, Georgia ed Emirati Arabi Uniti.  

 

Secondo i documenti visionati da Politico, due compagnie di armi russe, Promtekhnologiya e Tetis, hanno acquistato proiettili e munizioni prodotte dalla società americana  Hornady, che ha sede in Nebraska. Il ceo della compagnia a conduzione famigliare, Steve Hornady, ha detto che da quando è iniziata l’invasione russa in Ucraina le vendite sono state sospese e le esportazioni verso la Russia dovevano essere controllate e spesso venivano evitate fin dal 2014, l’anno del prima invasione russa nell’est e nel sud dell’Ucraina. Promtekhnologiya ha scritto a Politico di non aver registrato alcuna dichiarazione doganale relativa all’importazione di munizioni, di non aver alcun rapporto con la Hornady e di essere in grado di produrre in autonomia le munizioni necessarie al suo prodotto di punta, il fucile di precisione Orsis T-5000, che è utilizzato nell’est dell’Ucraina già dal 2014. Secondo Promtekhnologiya le munizioni che l’azienda produce per quest’arma sono destinate a scopi “venatori e sportivi” e sono liberamente disponibili sul mercato civile (su Telegram Sniper Shot presenta e vende molti prodotti della Hornady). Un’altra acquirente di munizioni della Hornady è la russa Tetis, di proprietà di Alexander Levandovsky e Sergei Senchenko, che hanno molti legami con l’esercito russo. La Tetis non pubblicizza sul proprio sito i prodotti della Hornady ma quelli di un’altra azienda americana, la Rcbs. Nella sua inchiesta Politico analizza gli affari e le spedizioni anche di quest’azienda e anche se formalmente i rapporti sono interrotti il materiale bellico prodotto negli Stati Uniti finisce nelle mani dei russi. Lo stesso avviene per le cartucce prodotte in Europa che arrivano in Ucraina attraverso la rotta balcanica e attraverso dei trafficanti di armi che mettono sui social anche i numeri di telefono per essere contattati facilmente. 

 

In quesa inchiesta è stato contattato anche Evgeni Prigozhin, il capo della compagnia paramilitare russa Wagner, che ha risposto sarcastico e inquietante con un messaggio audio che ha postato anche su Telegram. Prigozhin dice di avere a disposizione molte munizioni in dotazione della Nato lasciate dall’esercito ucraino, chiede di fare arrivare i jet F-35 “di cui abbiamo già discusso in precedenza” dalla Nuova Zelanda e dalle Hawaii, e aggiunge: “Sono sicuro che conoscete bene Viktor Bout. Gli ho già parlato, è pronto a gestire tutte le consegne”. Bout è uno dei più famosi trafficanti di armi del mondo che è stato per molti anni nelle carceri statunitensi ed è appena stato riconsegnato dall’Amministrazione Biden a Mosca in cambio della liberazione della cestista Brittney Griner che era stata condannata a nove anni di carcere in Russia per possesso di sostanze stupefacenti. In poco più di due minuti di vocale, Prigozhin ha attivato tutte le leve della propaganda antiucraina, ma il problema dell’elusione delle sanzioni e del mercato nero di materiale bellico è molto urgente, al di là del disprezzo del capo della Wagner che al giornalista di Politico dice: per gli F-35 scrivimi in privato, se va in porto ti regalo il mio fucile Orsis.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi