(foto EPA)

relazioni tese

Ora pure Berlino è esausta dei continui veti di Orbán

David Carretta

I “no” alle forniture di armi a Kyiv e alle sanzioni contro la Russia. Il punto di rottura con la Germania, che non nasconde più la sua esasperazione

Bruxelles. Il costante sabotaggio condotto dall’Ungheria di Viktor Orbán contro le politiche dell’Unione europea, a cominciare dal sostegno all’Ucraina per difendersi dalla guerra di aggressione della Russia, potrebbe presto raggiungere un punto di rottura. Lunedì, durante il Consiglio Affari esteri, è andato in scena un vivace confronto tra la ministra tedesca, Annalena Baerbock, e il suo omologo ungherese, Péter Szijjártó, sul veto di Budapest alla prossima tranche da 500 milioni della Peace facility per finanziare le forniture di armi a Kyiv. La scusa è la decisione del governo ucraino di inserire la banca ungherese Otp, che opera in Russia dove ha 2,2 milioni di clienti, nella sua lista degli “sponsor della guerra”. Baerbock ha difeso le argomentazioni di Kyiv: Otp rispetta un decreto del governo di Vladimir Putin sui territori occupati in Ucraina e fornisce prestiti a tassi agevolati a membri dell’esercito russo. Szijjártó ha reagito usando le stesse argomentazioni della banca: le informazioni che hanno portato Otp nella lista nera ucraina “non sono corrette”. Budapest ha usato la stessa scusa anche per frenare l’adozione dell’undicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Lunedì l’Alto rappresentante, Josep Borrell, si è detto convinto di poter superare lo stallo dialogando con Budapest e con Kyiv. Un’ipotesi è chiarire che solo la sussidiaria russa di Otp porta il marchio di “sponsor della guerra”. Ma la Germania non nasconde più la sua esasperazione. Martedì il ministro tedesco della Difesa, Boris Pistorius, si è detto “molto deluso” e “irritato” dal veto dell’Ungheria.

Armi e sanzioni non sono l’unico problema posto dall’Ungheria. Il governo di Orbán sta anche bloccando l’accordo per far ripartire le esportazioni di grano dall’Ucraina verso l’Ue, dopo che Polonia, Ungheria, Bulgaria e Slovacchia hanno vietato l’ingresso e il transito sul loro territorio. Malgrado la violazione del diritto dell’Ue, il 28 aprile la Commissione aveva proposto un compromesso accettato dai quattro paesi: 100 milioni di euro di aiuti per i loro agricoltori (di cui 16 milioni all’Ungheria). Ma Budapest non ha rispettato una delle condizioni: revocare le misure unilaterali che impediscono al grano ucraino di transitare sul suo territorio. Per il momento, dunque, i 100 milioni restano nelle casse di Bruxelles, danneggiando tutti e quattro i paesi. Così anche la Polonia si è messa a giocare il ruolo di sabotatore nell’Ue. Il governo di Varsavia ha messo il veto al rinnovo dell’accordo di Cotonou con i paesi dell’Africa-Caraibi-Pacifico, sperando di ottenere più concessioni dall’Ue sul grano ucraino.

 

Le relazioni tra Budapest e le altre capitali si stanno degradando sempre di più. Il sostegno sempre più esplicito di Orbán alla Russia ha fatto implodere il gruppo di Visegrád. I paesi nordici e baltici sono irritati dalla mancata ratifica dell’adesione della Svezia alla Nato. Questa settimana l’Ungheria ha fatto scoppiare un nuovo incidente che potrebbe minare i rapporti con uno degli ultimi stati membri che si mostra ancora comprensivo con Budapest: l’Austria. Il governo ungherese ha deciso di rilasciare dal carcere centinaia di stranieri condannati come trafficanti di esseri umani, a condizione che lascino il territorio entro 72 ore. All’origine c’è un conflitto sui fondi dell’Ue. Bruxelles non paga per la gestione delle frontiere esterne, ma “si aspetta da noi che teniamo i trafficanti in prigione a spese dei contribuenti ungheresi”, ha spiegato il sottosegretario agli Affari interni, Bence Rétvári. Una delle destinazioni dei trafficanti espulsi dall’Ungheria è l’Austria. Vienna ha protestato perché la decisione ha “un impatto diretto sulla nostra sicurezza”. Anche la Commissione ha chiesto chiarimenti per l’impatto sul resto dell’Ue. Nel frattempo, l’Austria ha rafforzato i controlli alla frontiera con l’Ungheria.

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