La famiglia Haftar riunita durante un'operazione militare. Da sinistra a destra, Saddam, il nipote del generale, Ayoub Busaif, Khalifa Haftar e l'altro figlio, Khaled

Caos in Libia

I traffici di Saddam Haftar, "il cattivo"

Luca Gambardella

Il figlio prediletto del generale della Cirenaica guida una brigata armata libica che si occupa di tutto, dalle buche nelle strade ai flussi di migranti. Le sue ambizioni, il suo potere e il passaporto americano

Hanan al Barassi si faceva chiamare “Azouz Barqa”, la Signora della Cirenaica. Fu uccisa il 10 novembre del 2020 a colpi di pistola in pieno giorno, mentre camminava per strada a Bengasi. Il giorno prima di morire, in una diretta su Facebook, l’attivista per i diritti umani aveva elencato i nomi e i numeri di telefono di quanti avevano minacciato di ucciderla. Hanan voleva denunciare il sistema di corruzione su cui si basa il potere di Saddam Haftar, uno dei sei figli del generale della Cirenaica, Khalifa Haftar. Secondo i report delle ong locali, a ucciderla quel giorno furono proprio gli uomini del giovane Saddam: un’esecuzione in piena regola.

 

A quasi 80 anni, il padre Khalifa Haftar soffre di demenza e da tempo è costretto a cure periodiche in una clinica in Francia. Per questo, molti degli affari gestiti dal generale sono diventati esclusiva dei suoi figli. Di Saddam, in particolare, che deve il suo nome alle simpatie che il padre nutriva per l’allora dittatore dell’Iraq. Un giovane che sfugge a qualsiasi definizione e che forse proprio per questo, in una terra di nessuno come la Libia, aspira a essere il prossimo leader dell’est. “Non è un militare perché non ha mai fatto l’accademia e non viene dalle forze armate. Ma non è nemmeno un vero politico – racconta al Foglio chi lo conosce – Lui è uno che in Italia chiamereste ‘il cattivo’. E’ un fottuto animale”. 

  

Per chiunque oggi volesse tentare di ottenere qualcosa in Cirenaica, che sia un contratto per una fornitura di greggio o un’intesa di massima per arrivare a elezioni o un accordo per frenare le partenze dei migranti, sarebbe impensabile non fare i conti con Saddam. “Semplicemente perché Khalifa è vecchio e malato. Lui non vuole ammetterlo, ma è così”, ci spiega Jalel Harchaoui, ricercatore al Royal United Service Institute. Se ne è accorto anche il governo italiano, che lo scorso maggio aveva incontrato il generale a Roma per trovare un accordo sui migranti in partenza dalla Cirenaica. Alla fine, una volta rientrato in patria, è stato Saddam a intervenire in prima persona. Nel costringere con la forza i clan di Tobruk a rallentare le partenze verso l’Europa e rispettare i patti presi con l’Italia, Saddam è anche riuscito ad aumentare la propria influenza nel distretto orientale di Butnan, a ridosso del confine con l’Egitto. Ma non tutte le tribù sono piegate al volere di Saddam e i risultati dell’accordo sui migranti sono tutti da verificare, come dimostrato dalla strage della settimana scorsa al largo della Grecia, in cui le oltre 700 persone naufragate erano salpate proprio da Tobruk. 

 

Le informazioni sul nuovo, vero interlocutore della Cirenaica sono una collezione di crimini – tutti  documentati dalle Nazioni Unite e dalle ong – commessi nelle vesti di comandante di una delle più potenti milizie libiche, la Tariq Ben Zeyed, a sua volta ramificata in altri sottogruppi armati e con ottimi rapporti con i mercenari russi della Wagner. Una delle principali preoccupazioni di Saddam è stata quella di dotare la sua milizia di armi e uomini in quantità sufficienti. Un piano di coscrizione transnazionale che ha coinvolto i mercenari ciadiani e le milizie del Darfur. Secondo un report delle Nazioni Unite sul Sudan, pubblicato nel gennaio del 2021, Saddam ha usato le armi fornite dal suo principale sponsor straniero, gli Emirati Arabi Uniti, per armare i combattenti del Darfur. Poi li ha portati in Libia a combattere al suo fianco. Ma la brigata Tariq Ben Zeyed non è un semplice gruppo armato. “E’ un’entità a due teste: quella militare, molto attiva nell’est e a sud, e quella del gihaz, cioè dell’apparato”, spiega al Foglio una fonte vicina agli ambienti del clan Haftar che preferisce restare anonima. “Il gihaz è una specie di ‘braccio commerciale’ dell’Esercito nazionale libico dell’est e si occupa un po’ di tutto, dalla pavimentazione delle strade alla pesca, dalla gestione del traffico stradale a quella della medina di Bengazi. Ma oltre a queste attività di pubblica utilità ce ne sono molte altre che appartengono a un’‘anima oscura’, come il traffico di armi o di persone”. 

 

Fra le amicizie pericolose di Saddam ci sono quelle strette con esponenti del regime siriano di Bashar el Assad. Un rapporto che gli ha consentito di accogliere in Libia diverse centinaia di mercenari, ma anche di coltivare altri generi di traffici illeciti. Oltre alla droga sintetica Captagon, smerciato in Cirenaica e prodotto quasi interamente in Siria, c’è l’immigrazione, con cui fare tanto denaro. Secondo quanto confermato in un rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite a maggio dello scorso anno, la compagnia aerea siriana Cham Wings ha attivato un ponte aereo fra Damasco e Bengasi per condurre in Libia un numero imprecisato di migranti provenienti soprattutto dal Bangladesh. Da lì, questi cercano di imbarcarsi verso l’Europa con l’aiuto dei clan sodali di Haftar. 

 

“Saddam ha una naturale inclinazione a intraprendere qualsiasi genere di attività illecita”, dice Harchaoui. “In cambio di denaro, è disposto a chiudere un occhio davanti a ogni tipo di traffico, che sia quello del Captagon, di cannabis, di gasolio, di rottami di ferro, di oro. Il suo è un ‘carrello’ molto diversificato, che genera un ricco flusso di liquidità, ma che dipende dalle circostanze, dalla situazione politica interna ed esterna, oppure dalla condiscendenza dei suoi alleati russi della Wagner”. D’altra parte, continua l’esperto del think tank britannico, Saddam è riuscito a garantirsi anche un flusso di finanziamenti più trasparente, frutto del dialogo politico che ha portato avanti sottotraccia con i nemici giurati del padre e appartenenti alla famiglia del premier di Tripoli, in particolare con Ibrahim Dabaiba: “Se l’Esercito nazionale libico di Haftar fino a oggi non ha conosciuto crisi di liquidità si deve proprio agli accordi economici conclusi di tanto in tanto da Saddam a Tripoli e Misurata”, spiega Harchaoui. La sua principale vocazione è quella di appropriarsi del denaro che appartiene alla collettività e che in Libia deriva quasi tutto dal petrolio. “Ciò avviene anche grazie al ruolo che gioca nell’ombra nella National Oil Corporation (Noc) e nelle sue sussidiarie dell’est e che potrebbe realizzarsi potenzialmente anche con la conclusione di accordi con le compagnie straniere”, dice l’esperto. Lo scorso febbraio a Tripoli, Eni ha firmato un contratto da 8 miliardi di dollari per l’estrazione di 24 milioni di metri cubi di gas al giorno da due impianti offshore libici. Una delle sussidiarie della Noc è l’Agoco, che opera a est e che di fatto è gestita proprio da Saddam. Lo stesso presidente della Noc, Farhat Bengdara, nominato nel luglio dello scorso anno, è un uomo di Haftar. A sceglierlo sarebbe stato proprio Saddam al termine di una trattativa segreta condotta con Ibrahim Dabaiba negli Emirati Arabi Uniti. L’accordo prevedeva la riapertura dei pozzi petroliferi a est in cambio della nomina di un uomo di Haftar alla guida della Noc e di un rimpasto di governo. Un piano in parte naufragato, ma che ha lasciato intendere le aspirazioni politiche di Saddam. 

 

Un’altra fonte di guadagno del giovane comandante è l’Autorità militare di investimento. E’ un organo economico gestito da militari e creato sul modello di quanto avviene in Egitto. L’Autorità permette ai militari dell’Esercito nazionale libico di Haftar di spartirsi i ricavi degli investimenti industriali, edili o energetici. Il tutto è esente da qualsiasi genere di tassazione e i militari godono di libertà assoluta nella gestione degli affari e del denaro. Saddam è considerato il controllore occulto dell’Autorità, governata dal cerchio ristretto della famiglia di Haftar. 

 

Una delle più grandi “passioni” del giovane rampollo del generale della Cirenaica è quella per le banche. Nel 2017, dopo tre anni di combattimenti contro gli islamisti, suo padre Khalifa riuscì a riconquistare Bengasi e Saddam, al comando della 106esima Brigata, prese d’assalto la sede della Banca centrale libica rubando 160 milioni di euro, 6 mila monete d’argento e altri 639 milioni di dinari libici (circa 120 milioni di euro). Oltre a contribuire alla grave, successiva crisi di liquidità della Banca centrale, Saddam usò quasi tutto il denaro per i suoi traffici nel mercato nero e in attività mafiose. A confermarlo furono le indagini svolte dalla polizia francese nel 2020, dopo avere arrestato due persone a Limoges sorprese a spendere migliaia di euro in contanti con alcune delle banconote rubate a Bengasi. Saddam era stato coinvolto in un episodio analogo anche nel 2012, quando andò all’assalto di una banca di Tripoli, rimanendo ferito. In quell’occasione il bottino ammontò a svariate decine di milioni di euro. Parte di questi fu reinvestito nell’acquisto di armi, ma il resto si rese inutilizzabile perché le banconote rimasero segnate dall’inchiostro al momento della rapina.

 

Secondo Harchaoui, “le attività illecite di Saddam nel mercato dei narcotici e del gasolio hanno influenzato negativamente la sua fama e la sua credibilità agli occhi di molti capitribù”. Tuttavia, Saddam è riuscito a dotarsi di uno status prestigioso e autorevole grazie alla sua rapida carriera militare. Quando nel 2016 fece una delle sue prime apparizioni pubbliche come ospite a una cerimonia in Giordania, il giovane si fece ritrarre in alta uniforme e con i gradi di capitano. Da allora, molti cominciarono a vedere nel figlio prediletto di Khalifa il giovane sfidante dell’epopea di Gheddafi. Appena trentenne Saddam ha ottenuto, grazie all’intercessione del padre, i galloni da colonnello, un grado che l’ex dittatore Muammar raggiunse solamente dopo decenni di carriera militare. Non a caso uno dei principali “nemici” di Saddam è proprio Saif al Islam Gheddafi, uno dei figli dell’ex dittatore. La competizione fra i due esponenti della nuova guardia libica è continuata in questi mesi anche all’estero. Sia Saddam – per conto del padre Khalifa – sia Saif hanno compiuto diversi viaggi segreti in Israele per incontrare i vertici dei servizi del Mossad e intavolare trattative parallele, ma dal medesimo contenuto: soldi e sostegno militare dallo stato ebraico in cambio del riconoscimento di Israele una volta eletti come nuovi presidenti della Libia. 

 

Ma al di là delle trattative con Israele, se si fa eccezione per gli Emirati Arabi Uniti e per i russi, Saddam ha ben pochi estimatori all’estero. “I suoi modi all’Egitto non sono mai piaciuti – spiega Harchaoui – men che meno le trattative che ha intavolato con Tripoli negli ultimi mesi”. Poi c’è il capitolo Sudan, dove l’Egitto sostiene Burhan, mentre Saddam è lo sponsor della milizia di Hemedti. E neanche gli americani tollerano il figlio di Haftar. Classe 1991, Saddam è nato in Virginia, durante gli anni dell’esilio del padre negli Stati Uniti, e nonostante parli un pessimo inglese, così come Khalifa anche lui ha il doppio passaporto libico e americano. Un dettaglio, quello della sua nazionalità americana, che per Washington è un motivo di ulteriore imbarazzo: “Quando a febbraio il direttore della Cia, William Burns, è venuto a Bengasi per incontrare Khalifa Haftar, si è rifiutato di incontrare Saddam, perché non si fida di lui”, spiega al Foglio Tarek Megrisi, ricercatore all’European Council on Foreign Relations. 

 

Gli interlocutori europei vedono in Saddam “il preferito” del generale della Cirenaica. “Credono che Saddam sia sinonimo di continuità, un antidoto al caos. Ciò che davvero fa paura agli europei è che in Libia qualcosa scombini l’attuale rapporto di forze”, dice Megrisi. A fare scattare la scintilla nel paese potrebbe essere proprio la morte di Khalifa Haftar, che in molti reputano non troppo lontana. “Ma considerare Saddam, o l’altro fratello Khalid, come i successori del generale è un errore, frutto di un’analisi politica superficiale – secondo l’analista del think tank di Bruxelles – perché non si tiene conto che nella regione Saddam non riscuote le simpatie di molti”. “L’Egitto vedrebbe meglio un vero militare alla guida della Libia, uno come Abdulrazek al Nadoori per esempio, l’attuale capo di stato maggiore dell’Esercito nazionale libico”. Eppure, lo scorso gennaio, il quotidiano russo Nezavisimaya Gazeta ha scritto che Khalifa sarebbe pronto a passare tutto il potere nelle mani del figlio Saddam. “L’idea che oggi in Libia ci sia un chiaro successore di Khalifa è erronea. E’ lo stesso generale a rifiutarsi di affrontare l’argomento e per questo i suoi figli sono liberi di seguire la loro agenda personale, talvolta anche in competizione fra loro”, conclude Harchaouoi. Lasciando la Cirenaica in un vuoto di potere pronto a destabilizzare la Libia intera, ancor più di quanto non lo sia adesso.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.