La carovana di migranti nei pressi di Musaid lo scorso 2 giugno, in cammini verso il confine egiziano

L'altro patto

Per l'Italia i ricatti di Haftar sui migranti si chiamano “proficua collaborazione”

Luca Gambardella

Proseguono le trattative fra Roma e Bengasi per un nuovo memorandum con il generale, che ha un disperato bisogno di denaro. La ribellione di Musaid

Lo scorso primo giugno, nella zona desertica che nel distretto di Butnan separa la Libia dall’Egitto, una carovana di migliaia di migranti, quasi tutti egiziani, ha attraversato a piedi la frontiera. Le immagini impressionanti mostravano circa 2 mila persone che, dalla cittadina libica di Musaid, si incamminavano verso il confine per tornare in Egitto. Circa altre mille sono state arrestate al termine di una insolita, grande operazione di polizia. Le autorità dell’est della Libia, che fanno capo al generale Khalifa Haftar, hanno da subito pubblicizzato con grande enfasi il respingimento e hanno detto che “i migranti irregolari erano gestiti dai trafficanti di esseri umani”. Qualche settimana prima, all’inizio di maggio, Haftar era volato a Roma per incontrare la premier Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Una visita a sorpresa in cui si era discusso in particolare di immigrazione. Sabato scorso, a dare più dettagli su cosa si siano detti in quell’occasione Meloni e Haftar è stato Matteo Piantedosi. Il ministro dell’Interno ha confermato che sul tavolo c’è la conclusione di un memorandum con il leader della Cirenaica sulla falsa riga di quello del 2017 siglato dall’Italia con il governo di Tripoli per il controllo delle partenze. Il governo ha “avviato dei contatti per dei progetti di sviluppo economico che il generale Haftar ha chiesto – ha dichiarato Piantedosi Sicuramente gli chiederemo una più proficua collaborazione per fermare le partenze. Al momento è prematuro dire se possa mai concretizzarsi in un accordo”, sebbene – ha aggiunto il ministro riferendosi all’eventualità di rimpatriare migranti nel paese nordafricano  – “la Libia non è considerata un porto sicuro”. 

   

 

In mezzo a dichiarazioni contraddittorie, c’è un elemento che invece tiene insieme i due eventi, il blitz di Musaid e le trattative fra l’Italia e Haftar, l’unico che da sempre orienta con costanza il destino politico della Libia: il denaro. E i soldi sono ciò di cui al momento la famiglia di del generale libico ha più bisogno. Lo scorso 16 maggio, Haftar ha scaricato Fathi Bashagha, il volto politico dell’“uomo forte della Cirenaica”, che oltre a guidare il governo di Bengasi sovvenzionava le milizie vicine a Haftar. Il dialogo fra l’est e l’ovest del paese per la creazione di un esercito libico nazionale ha via via esautorato il ruolo di Bashagha. Al punto che, secondo le fonti vicine a  Haftar e sentite dal portale egiziano indipendente Mada Masr, Bashagha si sarebbe sentito usato e dopo essersi rifiutato di sovvenzionare le milizie del generale sarebbe stato rimosso dal governo. Il viaggio di Haftar in Italia risale a pochi giorni prima, al 4 maggio, e secondo le fonti sentite dalla testata online Mada Masr quello che il generale stava cercando a Roma era una fonte di denaro alternativa: quella che il governo italiano è pronto a versare pur di non ritrovarsi in ulteriore emergenza con gli sbarchi dei migranti in vista dell’estate.

 

Secondo le ricostruzioni dei residenti e dei clan locali fornite al portale egiziano, a innescare gli scontri di Musaid lo scorso primo giugno sarebbe stata proprio una delle milizie comandate dal figlio di Haftar, Saddam. Si chiama Gruppo 20/20 ed è coinvolto direttamente con il business che gestisce le partenze dei migranti sulla costa. Per frenare il flusso dei migranti senza interromperlo del tutto, gli uomini di Saddam avrebbero costretto i clan locali a spostare le loro attività dalla redditizia zona di Tobruk, da dove dall’inizio dell’anno sono salpati molti dei 10 mila migranti diretti in Italia, a quella meno attrattiva di Bengasi per  continuare con i loro affari. Un’imposizione che ha portato su tutte le furie le tribù al punto che, per sedare la rivolta, Saddam è dovuto intervenire con la forza. Quella spacciata da Haftar per un’operazione di polizia contro i trafficanti di esseri umani, altro non è stata che un regolamento di conti fra milizie. Oggi, anche l’Unsmil, la missione dell’Onu in Libia, si è detta preoccupata “per gli arbitrari arresti di massa di migranti e richiedenti asilo nel paese”. Il generale sa di non poter imporre ai clan di interrompere del tutto le partenze dei migranti come chiede l’Italia. Ciò che il leader della Cirenaica può fare è dimostrare all’Europa di poterne rallentare il flusso, almeno fino a quando gli converrà farlo. Un ricatto chiamato “proficua collaborazione”.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.