Il giorno del gaokao

13 milioni di cinesi fanno l'esame per l'università, un record. Ma l'ascensore sociale non funziona più

Priscilla Ruggiero

"Il più grande gaokao" mette Xi Jinping di fronte a un problema: la laurea è diventata un piedistallo da cui i giovani non riescono a scendere, non più  disposti a "mangiare amaro". Il carico di pressione per il test e la frustrazione di un 20,4 per cento disoccupato

‘Spegnere le lampade degli altri non ti renderà più luminoso; bloccare la strada agli altri non ti farà andare più lontano’. ‘Un fiore che sboccia da solo non è primavera, ma cento fiori che sbocciano insieme riempiono il giardino  di primavera. Se al mondo esistesse un solo tipo di fiore, non importa quanto sia bello, sarà monotono’. Queste due frasi provengono dai discorsi del segretario generale Xi Jinping, che esprimono verità comuni con un linguaggio vivido.  Scrivere un saggio basato su di esse, che rifletta la vostra comprensione e il vostro pensiero”. E’ una delle domande che ieri 12,91 milioni di cinesi si sono trovati di fronte  dopo il suono della campanella del    gaokao, l’esame più importante nella vita di ogni giovane cinese per essere ammesso all’università. Sono i due giorni nel  giugno di ogni anno più temuti da ogni studente  in Cina: il gaokao, “l’esame superiore” che blocca le strade delle principali città del paese,   rappresenta l’ascensore sociale, il biglietto per entrare nelle migliori università cinesi, la maggior parte nella capitale, Pechino. 

 

Ieri il ministero dell’Istruzione della Repubblica popolare lo ha definito “il più grande gaokao della storia della Cina”: quasi 13 milioni di  candidati si sono sottoposti all’esame, 980 mila in più  rispetto allo scorso anno. 13 milioni di cinesi  che cercano di avvicinarsi a  un numero, il punteggio massimo,  750, in un test che contiene le domande più disparate, nessuna materia esclusa: lingua cinese, geografia, storia,   matematica, politica. Sin da piccoli, scuola e famiglia instillano nei giovani  il tabù del gaokao: più si avvicina il giorno dell’esame, più il carico di yali, di pressione negli aspiranti universitari, è pesante.  Una pressione che riesce a trasparire anche dalle   foto pubblicate ieri dai quotidiani statali, in cui i ragazzi, in divisa scolastica con volti poco sereni, tengono saldi libri e fogli in mano, e i genitori in attesa fuori dai cancelli incoraggiano i figli, un padre con una maglia che riporta la scritta: quanguo, tutto corretto, una madre con un foglio: jiayou, coraggio, metticela tutta.

 

“E’ la prima sfida  che la maggior parte dei cinesi deve affrontare nella propria vita. Non solo mette alla prova le loro conoscenze, ma affina anche la loro forza di volontà e resistenza.  Non è solo un esame, è anche un’esperienza di vita”, ha scritto ieri il tabloid statale Global Times in un editoriale. Ma se   l’avvicinarsi a quel numero a tre cifre rappresenta ancora per molti un’opportunità assoluta in grado di determinare il proprio futuro, molti laureati cinesi oggi dicono: non è più così. I dati del National bureau of statistics (Nbs)  mostrano come il tasso di disoccupazione giovanile in Cina tra i giovani di età compresa tra i 16 e  i 24 anni è passato dal 19,6 per cento di marzo al 20,4 per cento nel mese di aprile, soltanto un cinese su 5 trova occupazione,  ed è un altro record. Il paradosso è che secondo le statistiche, i laureati cinesi hanno più probabilità di essere disoccupati rispetto ai  meno istruiti: “Tutti dicono che una laurea è un trampolino di lancio, ma piano piano sto arrivando a rendermi conto che è più simile a un piedistallo da cui non riesco a scendere”, ha scritto un utente cinese su Weibo.        

 

Mentre i laureati aumentano, i posti di lavoro diminuiscono, e anche il Partito comunista cinese negli ultimi tempi ha dovuto ammettere il problema proponendo soluzioni. Le università hanno alzato drasticamente le tasse, e martedì il ministero delle Risorse umane ha annunciato l’inizio di  una campagna “di cento giorni” per “fornire più di dieci milioni di opportunità di lavoro per i laureati”. Molti governi provinciali stanno  incoraggiando i giovani cinesi a lasciare le città per trovare lavoro nelle campagne, con le autorità che cercano di convincerli ad accettare lavori “al di sotto delle loro aspettative” e “rimboccarsi le maniche”, proponendo modelli di laureati che hanno assaporato con piacere l’esperienza di netturbini o di venditori di tofu e patate in campagna. Anche il presidente cinese Xi Jinping nella giornata della gioventù si era espresso in merito al tema della disoccupazione utilizzando un idioma tutto cinese, chi ku, mangiare amaro: i giovani cinesi dovrebbero imparare a sopportare di più come il proprio leader, prendendo esempio dalla sua esperienza di lavoro nelle campagne, un’“esperienza” forzata da Mao durante la Rivoluzione culturale. Ma i giovani cinesi, descritti spesso come tangping, “sdraiati”, hanno mostrato spesso, soprattutto  negli ultimi mesi, di non essere più disposti a mangiare amaro.