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In spagna

Lo zar della Galizia. Chi è Alberto Núñez Feijóo, l'anti Sánchez, leader dei popolari

Guido De Franceschi

Ha vinto alle amministrative e ora insidia il governo dimissionario, in vista delle elezioni di luglio. Ma prima il capo del Pp deve capire se (e come) rapportarsi con gli estremisisti di Vox o rimanere sulle posizioni moderate che hanno permesso il recente successo elettorale

Il premier socialista spagnolo, il madrileño Pedro Sánchez, ama le operazioni politiche ad alto rischio, le scommesse, i colpi di testa e quelli di mano. Il leader del Partito popolare (Pp) di centrodestra, e quindi dell’opposizione, il galiziano Alberto Núñez Feijóo, invece, è un tipo prudente e previdente. E non ama né l’azzardo né le sorprese. Le loro vite – il leader socialista è del 1972, quello popolare del 1961 – non sono per niente parallele. Nel 2016, a 44 anni, Sánchez ha messo a repentaglio la sua intera carriera politica. Dopo due elezioni in pochi mesi, in cui il Pp aveva ottenuto più voti del Partito socialista (Psoe) ma non aveva trovato una maggioranza, Sánchez, che era allora il leader del Psoe, si rifiutò di sbloccare lo stallo “aiutando” con un’astensione l’allora leader del centrodestra Mariano Rajoy a varare un governo. Finito in minoranza nel suo stesso partito, Sánchez non cambiò idea. Lasciò la guida del Psoe e si mise alla guida della sua Peugeot 407. Girò tutta la Spagna per incontrare i militanti e l’anno dopo si riprese il partito, vincendo delle primarie che, pochi mesi prima, ben pochi si aspettavano che avrebbe vinto. Feijóo, invece, per cominciare a fare politica aspettò di avere 42 anni e di essere cooptato come assessore nel governo regionale galiziano.

Sánchez è stato protagonista della prima (e finora unica) mozione di censura mai riuscita nella storia della democrazia spagnola. Si tratta di un brutale meccanismo con cui nel Parlamento di Madrid, in un momento qualsiasi della legislatura, si può provare a detronizzare con una sfiducia fulminante il premier in carica indicando un altro candidato come possibile premier alternativo; i deputati votano e se quel candidato ottiene la maggioranza dal minuto successivo il premier è lui, senza bisogno di altre conferme. Questa trappola, in realtà, non scatta mai, perché comporta un accordo tra partiti di opposizione inconciliabili fra loro: infatti, se quei partiti non sono inconciliabili e hanno i numeri per varare un governo, perché non lo hanno varato già all’indomani delle elezioni? Eppure, nel 2018, Sánchez si buttò lo stesso, senza paracadute, in una mozione di censura contro Rajoy. E, per un soffio, riuscì davvero a scippargli la poltrona, diventando premier in un battito di ciglia. Feijóo, invece, ha aspettato un bel po’ prima di candidarsi per il Pp a presidente della Xunta, il governo regionale galiziano: un’impresa, peraltro, poco rischiosa, visto che i popolari, in Galizia, vincono praticamente sempre. E, infatti, Feijóo, a partire dal 2009, ha ottenuto in Galizia quattro maggioranze assolute consecutive per il Pp, aumentando ogni volta il numero dei seggi conquistati.

Sánchez, dopo aver vinto due volte di fila, ad aprile e a novembre del 2019, le elezioni politiche rimanendo però lontano, in entrambi i casi, dalla maggioranza dei seggi, decise, con la spregiudicatezza di un kamikaze di formare quello che sarebbe stato il primo governo di coalizione della storia spagnola con il movimento della sinistra radicale Unidas Podemos che, in quanto erede parlamentare delle proteste populiste dei cosiddetti indignados, non è un archetipo di propensione al compromesso. Ma i seggi di Podemos non bastavano e per poter varare un governo con cui guidare lo Stato spagnolo Sánchez cercò quindi anche l’appoggio esterno, indispensabile ma impensabile, degli indipendentisti baschi e catalani più radicali, che quello Stato spagnolo vorrebbero farlo a brani. E lo ottenne. Con questa compagnia, la cosiddetta coalición Frankenstein, Sánchez è incredibilmente riuscito a tenersi in equilibrio acrobatico sulla propria poltrona di premier fino a domenica scorsa. Feijóo, intanto, continuava invece a rifiutare tutti i ruoli nazionali che il destino gli aveva confezionato. Per lui, non era mai il momento giusto.

Nel corso degli anni gli fu proposto di fare il ministro a Madrid. Ma lui preferì rimanere in Galizia, dove regnava come uno zar. In seguito, gli fu proposto di fare il vicepremier di Rajoy e il vicepresidente del Pp. Ma niente: lui rimase a Santiago de Compostela. E anche quando, nel giugno 2018, Sánchez sgambettò Rajoy con la mozione di censura e tutto il partito iniziò a cantargli in coro “Vieni a Madrid, Alberto, la leadership è tua!”, Feijóo decise un’altra volta di restare in provincia. Sapeva che avrebbe senz’altro vinto le primarie del Pp. Ma sapeva anche che nella primavera successiva le elezioni sarebbero state vinte dai socialisti. E lui, in tutta la sua vita, le elezioni non le ha perse mai.

La guida del Pp passò dunque a Pablo Casado. Ma poi, nella primavera dell’anno scorso, anche Casado dovette farsi da parte, crivellato dal fuoco amico della compagna di partito Isabel Díaz Ayuso, che era ed è tuttora la presidente della Regione di Madrid (segnatevi questo nome, se non l’avete già fatto: la Ayuso galvanizza come non nessun altro i militanti più hardcore del partito e, anche per Feijóo, è lei l’avversaria più pericolosa all’interno del Pp). A quel punto, il Nostro sciolse finalmente le riserve. Lasciò la Galizia e andò a Madrid a prendersi ciò che era già suo: il comando del Pp. Il passaggio di consegne avvenne come piace a lui: senza opposizione. Nel 2006 Feijóo era diventato leader della branca galiziana del Partito popolare senza combattere, dal momento che era l’unico candidato. E la stessa cosa avvenne nel 2022, quando fu incoronato leader nazionale del Pp con il 98,35 per cento dei voti (il rimanente 1,65 per cento era costituito da schede bianche e nulle).

Ora però Feijóo, per la prima volta, non potrà attendere il momento a lui più congeniale per muovere il prossimo passo. E, per certi versi, è colpa sua. Domenica scorsa, infatti, è stato proprio lui, Feijóo, a condurre i popolari al trionfo nelle elezioni amministrative (regionali e municipali). Duramente sconfitto, Sánchez ha deciso quindi di reagire a modo suo. Rischiando il tutto per tutto, il premier ha indetto immediatamente, per il prossimo 23 luglio, le elezioni politiche anticipate. Feijóo avrebbe preferito di gran lunga aspettare la scadenza naturale della legislatura, alla fine dell’anno. In quel modo avrebbe avuto più tempo per rosolare Sánchez. E, soprattutto, avrebbe avuto più tempo per capire come rapportarsi con l’estrema destra di Vox.

Domenica scorsa il Pp, pur stravincendo, non ha infatti ottenuto una maggioranza autonoma quasi da nessuna parte, tranne che a Madrid, dove la Ayuso (sì, sempre lei) ha vaporizzato gli avversari. Per questo i popolari hanno bisogno dei voti di Vox per poter iniziare a governare davvero in tutte le amministrazioni locali che hanno strappato alla sinistra. E di Vox i popolari avranno bisogno anche dopo il 23 luglio, perché è molto probabile che Feijóo vinca le elezioni politiche ma è molto improbabile che ottenga una maggioranza assoluta per il Pp. E altre possibili stampelle “numeriche” alternative a Vox non ce ne sono.

Feijóo non vorrebbe mescolarsi con gli estremisti di Vox che si sono fatti strada a spallate nella politica spagnola dicendole grosse con grande spavalderia e irridendo i popolari che, ai loro occhi, sono dei “complessati” (questo è il termine chiave) che se la fanno addosso a dire cose di destra. Ma il leader del Pp è convinto di aver vinto le amministrative proprio perché gli spagnoli hanno premiato la moderazione. E, d’altronde, la moderazione è sempre stata la sua bandiera fin da quando, nella provincia galiziana in cui è cresciuto, dava tante soddisfazioni a papà Saturnino, a mamma Sira e soprattutto a nonna Eladia, che gestiva un povero minimarket paesano che i vicini chiamavano, in galiziano, “O Corte Inglés pequeno”, che sarebbe un po’ come dire “La piccola Rinascente”. Il piccolo Alberto era, pare, un angioletto. Nel suo paesello perso nel nulla, Os Peares, che è un posto così sfigato da essere diviso amministrativamente tra quattro comuni diversi, due dei quali appartengono alla provincia di Ourense mentre gli altri due sono in provincia di Lugo, ci si ricorda del piccolo Feijóo per la sua compostezza da “guiadiño” e cioè da bravo bambino obbediente e responsabile: a dieci anni, era già un alunno modello del severo collegio Champagnat gestito dai maristi a León, a 250 chilometri da casa.

Il giovane Feijóo, oltre che moderato, era poco ideologico. Nel 1982 e 1986, votò per i socialisti di Felipe González. “Non mi sembra mica tanto sbagliata la famosa frase secondo cui se non sei di sinistra a vent’anni non hai cuore e se non sei conservatore dopo i quaranta non hai testa”, ha poi spiegato, nel 2018, in una puntata della trasmissione tv Salvados. Tanto per dire: da giovani José María Aznar e Mariano Rajoy, che hanno preceduto Feijóo alla guida del Pp, erano invece iscritti ad Alianza popular, che era un po’ come essere iscritti, nel 1950 in Italia, al Msi.

Qualcuno, nel corso degli anni, ha cercato di strappare dal volto di Feijóo la maschera da moderato. Lo scrittore Manuel Rivas ha raccontato sul mensile “Luzes” un suo incontro con Feijóo davanti a un piatto di pimientos de Padrón, quei piccoli peperoni che sono uno dei vanti culinari della Spagna nordoccidentale. Un proverbio galiziano recita: “Os pementos de Padrón, uns pican e outros non!” (“Alcuni peperoni di Padrón sono piccanti e altri no”). Ma, racconta Rivas, in quell’incontro a tavola Feijóo mostrava “due volti diversi. L’uomo che mi parlava era piacevole, persuasivo, sorridente. Un liberale. Ma l’uomo che mangiava aveva invece uno sguardo obliquo, illiberale, di chi sospetta che tutti quei maledetti peperoni siano piccanti”. E secondo Xosé Manuel Beiras, grande vecchio del nazionalismo di sinistra galiziano, Feijóo è addirittura “un collaborazionista del fascismo più rancido”.

Ma il leader del Pp ha dovuto combattere più che altro con un diverso tipo di diffidenza. Spesso il suo moderatismo è stato visto come un limite politico. Molti hanno pensato che Feijóo fosse solo un ragionierino di talento, un ragazzo di famiglia modesta e di buoni studi che era stato capace di far fortuna a Madrid, diventando presidente delle Poste e di Insalud, l’entità pubblica che gestisce la Sanità. Un ottimo gestore, insomma, destinato prima o poi a essere “comprato” con un superstipendio da qualche impresa privata. E neppure i successivi tredici anni da presidente della Galizia avevano fugato del tutto quel dubbio: alla fine, pensavano alcuni, non si trattava di “politica vera”, ma solo della gestione contabile di un territorio che, di fatto, è proprietà del Pp.

Peraltro, il galleguismo di Feijóo, e cioè il suo essere galiziano, è stato spesso fonte di equivoci. E così quando lui, nel 2020, diceva in televisione “Non ho intenzione di stringere dei patti con Vox, e non li stringerò, perché è un partito che va contro la Galizia”, il leader dei sovranisti, Santiago Abascal, replicava in questo modo: “Feijóo parla della Galizia con un atteggiamento ereditario, come un nazionalista”. Ma la Galizia è un contesto complesso. C’è, sì, una frangia che si riconosce nelle posizioni di una sinistra indipendentista sul modello di quella catalana e di quella basca. Ne sono espressione politica il Bloque nacionalista galego e altri movimenti. Ma anche nella porzione maggioritaria della popolazione, che è invece di sentimenti conservatori e vota per il Pp, il sentirsi galiziani ha spesso un notevole peso nel contesto della tradizionale dialettica tra “quelli con la boina” e “quelli con il birrete”. E’ una faccenda di cappelli. “Quelli con la boina”, che è il basco, inteso come copricapo, sono le persone che abitano nelle zone rurali e hanno sentimenti un po’ più populisti e più localisti (i protagonisti del bel film As Bestas di Rodrigo Sorogoyen, che nei mesi scorsi è stato distribuito anche in Italia, ne sono una versione degenerativa). “Quelli del birrete”, che è il cappello degli universitari, vivono invece in città e si sentono meno vincolati ai richiami ancestrali. 

Manuel Fraga, l’ex ministro dell’Informazione di Francisco Franco che, dopo la transizione alla democrazia, fondò il Pp e governò la Galizia per quindici anni, era abile a toccare queste corde del “sentirsi galiziani” quando si rivolgeva a “quelli con la boina”. E anche Feijóo, che di Fraga è stato estimatore e successore come presidente regionale, sa fare lo stesso. Questo modo di sentirsi galiziani non è un atteggiamento antispagnolo: anzi, è un sentimento iperspagnolo, come tutto quello che affonda le radici nelle profondità della provincia. Ma è comunque un qualcosa di cui il sovranismo spaccone e senza sfumature di Vox diffida, come diffida del moderatismo di Feijóo – e non sarà allora un caso che l’unico dei diciassette consigli regionali spagnoli in cui non sono mai stati eletti dei rappresentanti di Vox sia proprio quello della Galizia.

Feijóo, fin dalla sua investitura a leader del Pp, ha insistito sulla necessità di “mettere da parte gli slogan fiammeggianti”, di iniziare “una buona volta a comportarsi da adulti” e di “salvare la politica spagnola dal muro contro muro e dalle iperboli”. Ma, prima e dopo il voto del 23 luglio, Feijóo dovrà in qualche modo fare i conti con Vox. Cercherà di farlo con discrezione. Ma il tentativo di restare il più possibile sottotraccia sarà vano. Perché, come il Pp ha passato anni a rimproverare Sánchez per i suoi accordi con gli indipendentisti e la sinistra radicale, nelle prossime settimane i socialisti non faranno altro che ricordare agli elettori che il “moderato” Feijóo è costretto a intessere patti con l’estrema destra.

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