Recep Tayyip Erdogan (LaPresse)

La mancia del presidente

Erdogan vuole vincere, cerca contanti e investimenti. Mosca risponde

Mariano Giustino

In vista dei ballottaggio di domenica, il leader turco in carica promette di non abbandonare la politica dei bassi tassi di interesse. I mercati si preoccupano ma arriva il sostegno della Russia, che posticipa il pagamento delle forniture di gas

Ankara. Crescono i timori nei mercati per l’economia turca in vista del ballottaggio presidenziale del 28 maggio che vede il presidente in carica Recep Tayyip Erdogan presentarsi con circa 5 punti di vantaggio sul suo principale contendente, il repubblicano Kemal Kiliçdaroglu. La Borsa di Istanbul e la lira turca lanciano segnali negativi; sembra che si stiano preparando all’esito finale più probabile: la conferma al potere del presidente turco. La crisi valutaria in Turchia è diventata così grave che le autorità finanziarie, subito dopo il primo turno del 14 maggio, avevano deciso di limitare i prelievi di contanti dalle carte di credito per evitare che la lira turca precipitasse di nuovo.  Ora i mercati rimangono sull’orlo della recinzione in vista del ballottaggio di domenica mentre cresce il timore che la rielezione del presidente Erdogan possa finire col provocare un aggravamento della crisi valutaria a causa di una errata politica monetaria e della perdita di fiducia da parte dei mercati nella Banca centrale che negli ultimi anni del governo del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) ha perso ogni sua autonomia.

  

In una recente intervista rilasciata alla Cnn International, il leader turco ha ribadito che non intende abbandonare la controversa politica dei tassi bassi che secondo le teorie economiche ortodosse sarebbe la causa delle turbolenze dell’economia turca. Mentre lo sfidante repubblicano, Kiliçdaroglu, promette in caso di vittoria il ritorno all’ortodossia economica, Erdogan precisa che non modificherà la sua “erdoğanomics”. Quella del leader turco si può definire come una rischiosa pratica di “economia elettorale”: una crisi valutaria autoprodotta. Erdogan è da tempo convinto che l’inflazione sia causata dagli alti tassi di interesse che aumentano il costo del prestito e della produzione. Ha per questo messo sotto il suo controllo la Banca centrale e ha perseguito in modo aggressivo riduzioni del suo tasso di riferimento, in diretta contraddizione con i princìpi economici tradizionali. Ciò che spinge il leader turco ad agire rivoluzionando il paradigma della politica economica consolidata, propria delle economie di mercato, è il fatto che tassi più alti metterebbero in pericolo ciò di cui ha più bisogno per assicurarsi il sostegno dell’imprenditoria a lui vicina da cui trae nutrimento il suo partito, vale a dire un’economia vivace che attragga investimenti esteri. Ma il persistente tasso di interesse reale negativo sta attivando una fuga dei risparmi in lira turca verso le valute estere. E stiamo assistendo alla crescente dollarizzazione dei conti di risparmio delle famiglie, dei proprietari e delle imprese.

 

Appena due giorni dopo il voto del primo turno, la Banca centrale ha emanato nuove regole volte a frenare i prestiti, compresi i prelievi di contanti sulle carte di credito, che le persone spesso usano come alternativa più economica ai prestiti. Per questo è iniziata una corsa al contante. Alla base della decisione del massimo istituto che gestisce la politica monetaria del paese c’è la preoccupazione che la popolazione corra ad acquistare valuta forte e oro da mettere “sotto il cuscino” per proteggersi da un ulteriore deprezzamento della lira dopo il 28 maggio. La fragilità valutaria è talmente allarmante che molti temono che presto possa diventare ingestibile. Al centro dei timori c’è il quasi esaurimento delle munizioni valutarie della Banca centrale. A salvare la Banca centrale sono state le aperture di linee swap con il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, la Cina e la Corea del Sud e i depositi dall’Arabia Saudita, dall’Azerbaigian e dalla Libia che ammontano a circa 36 miliardi di dollari.

 

Intanto anche Mosca è venuta in soccorso di Ankara per consentirle di vincere le elezioni. Il sostegno della Russia è iniziato la scorsa estate quando la sua compagnia di energia nucleare di proprietà statale, Rosatom, ha iniziato a trasferire 10 miliardi di dollari alla sua filiale in Turchia che sta costruendo la prima centrale nucleare del paese. Anche gli oligarchi russi hanno portato denaro in Turchia acquistando palazzi e appartamenti e creando società con partner turchi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Inoltre, Mosca ha posticipato al 2024 il pagamento delle fornitura del gas verso la Turchia per un valore di 600 milioni di dollari. Putin si sente a suo agio con uomini forti, spietatamente pragmatici come lo è Erdogan ed è disposto a ignorare le divergenze anche profonde che pur ci sono sulla Crimea, in Siria, in Libia e nel Caucaso, anche perché per il Cremlino la partnership economico-commerciale con questo grande paese è diventata ancora più importante dopo il 24 febbraio 2022.