Foto Ansa

L'analisi

Pashinyan vuole guardare a occidente ma non è arrivato il momento

Pietro Guastamacchia

Dal 2020 il rapporto tra Armenia e Russia si è fatto sempre più complesso, vitale il ruolo dell'Europa nella mediazione del conflitto nel Caucaso meridionale. Erevan vuole chiudere con Mosca ma ne è ancora troppo dipendente

Dopo i negoziati Ue l’Armenia guarda sempre più a ovest, ma non riesce a rompere con MoscaBruxelles. L’Armenia guarda sempre più a occidente ma il tempo di rompere con Mosca non è ancora arrivato. Il round di negoziati mediati lo scorso fine settimana dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel tra il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilmar Aliyev conferma il ruolo primario dell’Ue nella mediazione del conflitto nel Caucaso meridionale. A piccoli passi, si chiude la partita sulla sovranità territoriale sul Nagorno Karabakh. La bizzarra formula scelta dal vertice di Bruxelles per il “riconoscimento reciproco delle rispettive dimensioni territoriali” (Azerbaigian 86.600 km² e Armenia 29.800 km²), conti alla mano è solo un modo per girare intorno a una dichiarazione indigesta: la capitale Yerevan ammette che l’enclave armena è territorio azero. La questione della sovranità però non risolve il problema dell’autodeterminazione e la sicurezza degli armeni che vivono nella zona: per garantire la loro incolumità Yerevan è alla ricerca di un garante che sappia tenere a freno l’Azerbaigian, ruolo tradizionalmente ricoperto dal Cremlino ma messo in crisi dall’evidente mancanza di risultati.

Dal 2020 il rapporto tra Armenia e Russia si è fatto sempre più complesso. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina si sarebbe fatta strada nella leadership armena la consapevolezza che Mosca abbia dato il via libera alla capitale dell’Azerbaigian Baku per l’offensiva del 2020 che portò alle riconquiste territoriali azere delle regioni circostanti al Nagorno Karabakh. Una mossa che, confermano al Foglio fonti dell’esecutivo di Yerevan, avrebbe fatto parte di un disegno più grande di Mosca per destabilizzare la regione del Caucaso meridionale in modo da legare per sempre il futuro dell’Armenia al suo conflitto regionale e a impedirne uno sviluppo politico che la facesse uscire dall’orbita di Mosca.

Da questa consapevolezza, Yerevan ha mosso i primi passi verso un’emancipazione economica e politica che però vede ancora la repubblica caucasica incapace di rompere alcune dipendenze strutturali. Uno dei problemi principali è quello energetico: l’Armenia importa quasi tutto il suo gas dalla Russia. Yerevan starebbe tuttavia lavorando a un piano di indipendenza energetica che prevede la possibile costruzione di una centrale nucleare sviluppata in partnership con gli Stati Uniti.

La sicurezza nazionale però è la grande partita in cui la repubblica caucasica rimane, nonostante tutto, legata ancora a doppio filo a Mosca. L’Armenia infatti rimane membro della Csto, la mini Nato a guida russa, che Pashynian ha minacciato di lasciare ma senza ancora aver preso provvedimenti a riguardo. Inoltre il conflitto con l’Azerbaigian continua a interessare i confini nazionali e i recenti sviluppi fanno temere che potrebbe non limitarsi alla definizione dello status dell’enclave del Nagorno Karabakh. L’approvvigionamento di armi rimane dunque necessario a contrastare lo spaventoso accumulo militare degli arsenali azeri. La stragrande maggioranza del materiale bellico  continua  però a venire dalla Russia, ma anche qui Yerevan sta provando a muovere qualche passo a ovest con la firma di un accordo con Parigi per l’import di blindati e mitragliatori francesi — l’accordo è però osteggiato da Kyiv, che ritiene troppo alto il rischio che queste armi finiscano in mani russe. 

Il Cremlino nel frattempo non molla la presa sulla mediazione e ha chiamato Aliyev e Pashiniyan a Mosca il 25 maggio. Un passaggio inevitabile per i due leader, soprattuto per l’armeno, che nel suo lento cammino a ovest non può rischiare di rimanere da solo davanti al nemico. “Mosca ci serve per un motivo molto semplice”, commentano dallo staff del presidente armeno prendendosi cura di non essere citati, “non ha più la forza per imporre una pace ma certamente ha ancora la forza per farla fallire”.

Di più su questi argomenti: