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La storia di Khalid, torturato dai talebani e in fuga attraverso la rotta balcanica

Cristina Giudici

Una notte a Milano dopo una lunga traversata, poi il viaggio verso la Germania. L'esodo dei profughi afghani raccontato da chi lo ha vissuto sulla propria pelle: “Oggi siamo tutti considerati nemici”

Khalid si è fermato solo una notte a Milano, prima di riprendere il suo viaggio per il nord Europa. Partito sette mesi fa dall’Afghanistan, prima del ritorno dei talebani al potere lavorava per il Nds (National Directorate of Security), l’intelligence che cercava di prevenire e sventare attentati da parte dei talebani. E’ stato accolto da un’associazione milanese, Rete Milano, che offre assistenza ai “transitanti”, i profughi che passano dal nostro paese e cercano di non farsi identificare per non essere costretti a restare in Italia come previsto dal controverso trattato di Dublino. A Milano passano 250 transitanti al mese di cui per il 44 per cento afghani: per il 10 per cento sono minori soli non accompagnati. Khalid ci ha raccontato il suo viaggio lungo la rotta balcanica e i dieci giorni passati nelle foreste, prima di riuscire a superare il confine croato. Stremato, ci ha mostrato le sevizie subite dai talebani che volevano estorcergli i nomi dei suoi colleghi del Nds. Khalid ha 36 anni e 5 figli rimasti in Afghanistan. Dopo l’evacuazione dell’agosto del 2021, ha aspettato alcuni mesi prima di decidersi a lasciare il paese perché aveva creduto alle promesse dei talebani che, una volta preso il potere, avevano annunciato di voler rispettare l’incolumità di tutti quelli che avevano lavorato con il governo precedente. Nell’attesa, lavorava come insegnante in una scuola privata per aiutare le donne a continuare a studiare. “Non volevo abbandonare i miei compagni che avevano lavorato con me per il governo precedente”, ci ha raccontato. Come prevedibile, i talebani lo hanno individuato e arrestato. Torturato e tenuto in carcere per tre mesi e mezzo, ci ha mostrato le immagini del suo capo ustionato dall’acqua bollente, le lacerazioni delle scosse elettriche: “Sono riuscito a scappare quando mi hanno portato in ospedale”. Il suo viaggio, come quello di molti altri che non hanno voluto o non sono riusciti a partire durante l’evacuazione nell’agosto del 2021, è stato simile a quello di migliaia di afghani che sono passati dall’Iran, dalla Turchia, (dove lui si è fermato per curarsi), Bulgaria, Serbia e Bosnia (dove è stato arrestato) e infine la Croazia, dove la polizia lo ha tenuto in una cella per obbligarlo a rilasciare le sue impronte digitali. Ora si trova in un centro di accoglienza in Germania, dove spera di ricominciare una nuova vita e riuscire a far uscire dall’Afghanistan anche la famiglia. 

Sono 129 mila gli afghani che hanno chiesto asilo all’Europa sin dal ritorno dei talebani. Secondo il ministero dell’Interno, 4.890 profughi sono arrivati in Italia col ponte aereo da Kabul durante l’evacuazione, ma sono 3.671 quelli che si trovano ancora nelle strutture di accoglienza italiane perché tanti sono scappati verso il nord Europa. A questi numeri vanno aggiunti i 400 profughi arrivati fino a ora attraverso i corridoi umanitari gestiti dalle organizzazioni umanitarie grazie a un protocollo firmato con il Viminale. “Aspettiamo che il ministro dell’Interno rinnovi l’accordo per un nuovo corridoio umanitario”, dice Monica Attias, responsabile dei corridoi umanitari sia in Grecia sia in Afghanistan per conto della Comunità di Sant’Egidio. Durante l’evacuazione dell’agosto del 2021, l’operazione Aquila Omnia del ministero della Difesa ha portato in salvo 4.775 collaboratori dell’esercito italiano. Un numero che comprende anche i loro familiari (1.062 donne, 1.146 bambini) mentre nella seconda operazione Aquila omnia bis, creata successivamente per portare in Italia i profughi fuggiti nei paesi limitrofi, in Iran e in Pakistan, al 12 aprile scorso ne sono arrivati 849: 667 sono entrati nel sistema di accoglienza, mentre 182 sono andati verso altri paesi europei. Ma la maggior parte dei profughi che transitano dall’Italia passa illegalmente attraverso la rotta balcanica. Oppure coi barconi provenienti dalla Turchia, come abbiamo tragicamente constatato dopo il naufragio di Cutro. Oggi due persone su tre che arrivano a piedi, dalla rotta balcanica, provengono dall’Afghanistan. 

La storia di Khalid ci ricorda il caotico ritiro dall’Afghanistan che ha portato molti afghani, anche militari, a camminare per mesi per raggiungere, in maggioranza, la Germania. “Oggi siamo tutti considerati nemici”, dice Khalid per ribadire il dramma degli afghani, finito nella zona grigia delle emergenze dimenticate. 

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