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Oltre le contestazioni

Su Cina ed esteri Macron non è poi così incoerente, ma comunica male

Jean-Pierre Darnis

È il protagonismo del presidente francese che impedisce di guardare con obiettività le sue posizioni. Dalla riforma delle pensioni alla visita a Pechino, ci vorrebbe meno confusione e più silenzio istituzionale

Emmanuel Macron ha recentemente accumulato i passi falsi con una riforma delle pensioni che rappresenta un boccone difficilmente digeribile. Il metodo, la tempistica, il ruolo subalterno assegnato da parte dell’Eliseo al primo ministro Borne nonché l’ostinarsi nel condurre la riforma in modo spedito ponendo la fiducia e scavalcando il parlamento hanno provocato un forte rigetto. Il presidente francese aveva sperato di prendere le distanze dal tormentato scenario interno con un momento di diplomazia, che l’avrebbe portato in Cina per poi proseguire con una visita di stato nei Paesi Bassi. Ma il ritorno dal viaggio in Cina è stato più movimentato del previsto, con il rilascio di un’intervista che mischiava i temi dell’autonomia strategica europea e la ricerca di una differenziazione fra la posizione europea e quella americana sul dossier cinese, un distinguo che ha messo in subbuglio l’intero campo atlantista. A seguito abbiamo assistito a un irrigidimento della posizione del presidente francese con molti che denunciano un fenomeno di isolamento.

 

Se guardiamo da più vicino le questioni affrontate da Macron, le sue posizioni non sono così bizzarre. L’invecchiamento della Francia richiede forti adattamenti per mantenere il sistema pensionistico. La visita in Cina, anche se non ha portato a molto, rappresentava un tentativo di dialogo diplomatico che moltissimi, anche in Italia, giudicano necessario nel contesto della guerra in Ucraina. Purtroppo è nella comunicazione che Macron inciampa. Dopo la revisione costituzionale del 2000, il mandato presidenziale è stato ridotto a cinque anni, il che ha favorito una ulteriore centralizzazione del potere intorno alla figura del capo dello stato. Nell’accezione gollista, il presidente si occupava solo di Esteri e Difesa, tutto il resto spettava al primo ministro. Oggi Macron si fa anche il portavoce dei piano del governo sul risparmio dell’acqua, illustrando la propensione alla micro-gestione e sfrattando simbolicamente i propri ministri. Si mette ormai in prima linea su qualsiasi evento, concentrando inevitabilmente anche le critiche. Inoltre Macron, brillantissimo tecnocrate, con ogni probabilità pensa di avere capacità e comprensione politico- amministrative superiori che lo portano a non cercare compromessi o mediazioni. Tutto questo confluisce in un altro tratto francese, la necessità di imporre un racconto univoco che crei una forma di ortodossia intorno alla decisione pubblica. La “parola presidenziale” ambisce a diventare performativa, come una moderna illustrazione dell’antica funzione taumaturgica del Re. Il problema però è che gli eventi offrono delle contraddizioni e che bisogna navigare a vista: in Francia come altrove spesso i discorsi lasciano il tempo che trovano. Questo problema si riscontra in politica estera. 

 

Da anni la Francia si fa l’alfiere di un’autonomia strategica per l’Ue, ma il concetto stesso di autonomia strategica si presta a confusione. Per molto tempo la Francia aveva una visione prevalentemente strategica facendo dell’autonomia delle capacità di difesa in Europa un punto centrale della sua riflessione, anche nel contesto della presidenza Trump. A seguito della pandemia Covid, si è sviluppata una convergenza europea intorno ai temi dell’autonomia tecnologica e industriale con l’obiettivo di accrescere le capacità europee di produzione e controllo della tecnologica, anche in chiave anticinese. Oggi Macron usa l’espressione con quest’accezione ridotta, quella legata alle capacità di produzione autonome, ma prosegue utilizzando l’espressione “autonomia strategica europea” lanciata anni fa, tanto per rimanere nel solco della propria coerenza retorica. Il senso è evoluto ma l’espressione no, creando confusione. Se poi questo tema viene associato a considerazioni sulla differenziazione fra Ue e Stati Uniti, può suscitare interpretazioni polarizzate da parte degli alleati  in un momento in cui la sicurezza europea viene garantita dagli Stati Uniti. Gli errori di comunicazione sono anche errori politici e non vanno sottovalutati, ma se si esamina in dettaglio il posizionamento francese, non è poi così singolare. La Francia è un alleato militare dell’America, anche in combattimento, e la difesa dell’autonomia tecnologica e industriale europea è ormai una battaglia condivisa da tutti. Macron, che appare in affanno nella ricerca di un discorso pubblico razionalizzante del quale non riesce a gestire le contraddizioni, potrebbe forse andare a scuola da Mattarella per imparare la virtù del silenzio presidenziale.

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