Le brioche un'altra volta

Nella piazza degli incendi c'è il futuro della Francia e del macronismo

Macron e Carlo III rimandano il loro incontro. I canti alla Bastiglia e il trionfo della sproporzione: per le brioche è meglio attendere

E’ meglio se ci vediamo in un altro momento, si sono detti Emmanuel Macron e re Carlo, probabilmente in coro, a giudicare da come il comunicato sul rinvio della visita del monarca britannico a Parigi insiste sul fatto che i due abbiano deciso “di comune accordo”. Re Carlo era in arrivo domenica per tre giorni, ma per martedì è stata indetta un’altra protesta contro la riforma delle pensioni: Macron teme di non riuscire a garantire  sicurezza  e  protocollo; Carlo sa che storicamente un monarca, nel mezzo di una rivolta, dalle strade di Parigi   non  è mai uscito integro. Qualche sera fa, nei pressi della Bastiglia, un piccolo corteo scandiva (in francese c’è la rima): “Luigi XVI: l’abbiamo decapitato, Macron, possiamo ricominciare”. Per le brioche è meglio attendere, insomma. In più questo incontro – la prima visita all’estero di re Carlo – avrebbe dovuto nobilitare una nuova intesa cordiale tra  Francia e Regno Unito. 

 

Un’intesa dopo anni di dissapori e con un fardello storico, anche qui, non piccino: s’è perso il conto di quanti europei siano morti, nei secoli, per la rivalità tra le due sponde della Manica. Di cordiale sarebbe rimasta soltanto l’intesa tra i due leader, troppo poco rispetto a ciò che c’è attorno: la rivolta contro la riforma delle pensioni, la rivolta contro Macron raffigurato come un autocrate insensibile alla povera gente, il disprezzo per le monarchie, la ricchezza e i privilegi, l’ostilità contro la perfida Albione e via di rimostranze. In più il programma prevedeva: una camminata trionfale sugli Champs Élysées in direzione dell’Eliseo, con 140 guardie repubblicane al seguito; una cena di gala al Palazzo di Versailles; una visita a Bordeaux, la città che due notti fa è stata l’epicentro della violenza, con incendi e saccheggi, delle proteste. L’aria da mangino-le-brioche era troppo densa per essere spazzata via in poche ore, e pazienza se ora la sinistra francese, che già chiedeva a manifestazioni ferme di boicottare la visita del re inglese, sventola lo scalpo della monarchia, sperando di poterlo accompagnare presto con quello del macronismo.

 

“Non saremmo seri e ci mancherebbe una certa dose di buon senso” se facessimo arrivare re Carlo a Parigi come se niente fosse, ha detto Macron ai giornalisti a Bruxelles, dopo il vertice europeo, anzi “sarebbe stato molto sgradevole se avessimo cercato di mantenere questa visita come se nulla fosse accaduto, con incidenti alla fine della giornata”. Gli incidenti ci sono stati e ci saranno: i manifestanti attaccano, la polizia difende con le maniere dure, la rete è piena di video di entrambe le parti che denunciano all’unisono una violenza reciproca sproporzionata. In realtà tutta la vicenda delle rivolte alla riforma delle pensioni è stata sproporzionata: i dati del ministero dell’Interno dicono che ci sono stati nella notte tra giovedì e venerdì, dopo l’ultima protesta, 457 arresti, 441 poliziotti feriti e 903 incendi. Per due anni di lavoro in più in un paese che spende il 14 per cento del pil in pensioni, circa il doppio della media dei paesi dell’Ocse, in cui ci sono oggi 17 milioni di pensionati quando vent’anni fa ce n’erano 4 milioni di meno? Un po’ sproporzionato, in effetti. E’ il metodo che è sproporzionato, ribattono i manifestanti, lo strapotere del presidente francese che può invocare l’articolo 49.3 in Parlamento e fare quello che vuole (non proprio: è un voto di fiducia, che tutte le volte che è stato utilizzato, cento in tutto, è stato vinto di un soffio e che quindi si può anche perdere), anche se nella fattispecie “quello che vuole” è una riforma necessaria  per tutto il paese.

 

Simon Kuper, editorialista del Financial Times che vive a Parigi, scrive che non sono né Macron né la riforma il problema – la rabbia c’è da tempo, bastano i topi dappertutto a scatenare rivolte, così come manifestazioni in difesa degli stessi topi – ma la Quinta Repubblica: “Dopo vent’anni che vivo qui, mi sono abituato alla convinzione francese che chiunque venga eletto sia un cattivo e che lo stato, invece che essere l’emanazione collettiva, è il loro oppressore”. Kuper dice che Macron non dovrebbe lasciare la promessa di costruire la Sesta Repubblica all’opposizione (oggi è il capo degli Insoumis, Jean-Luc Mélenchon, a promuoverla), ma costruirla lui stesso: l’eredità del macronismo. Ma nulla, in questa Francia che sta mediamente bene ma è follemente arrabbiata, può avvenire in modo pacifico: è meglio, in ogni caso, che un monarca non si trovi nei paraggi.