Olaf Scholz (Lapresse)

Fra Berlino e Kyiv

Il lavoro silenzioso di Scholz nella "Leopard-Koalition" che non decolla

Daniel Mosseri

Sul sostegno del cancelliere all'Ucraina sono piovute molte critiche, a causa del suo atteggiamento "freddo e riottoso". Ma adesso che né i Paesi Bassi né la Danimarca cederanno i Leopard 2 a Zelensky, forse il suo ruolo andrebbe rivalutato

Berlino. E se Olaf Scholz non avesse tutti i torti a rimanere un passo indietro? È dalla gaffe di un anno dell’ex ministra della Difesa Christine Lambrecht, quando suggerì l’invio di cinquemila elmetti a Kyiv come gesto di solidarietà, che la Germania è diventata oggetto di moltissime critiche. Tentennante, ambiguo, titubante, freddo: gli aggettivi per definire il sostegno di Scholz e del suo governo a quello di Volodymyr Zelensky si sono sprecati. L’ultima ondata di critiche si è infranta su Berlino nei giorni del vertice di Ramstein, quando una coalizione di “volenterosi” con, fra gli altri, Polonia, Spagna e Danimarca, prometteva la consegna all’Ucraina di 100 carri armati Leopard 2 made in Germany appena avessero ricevuto l’ok di Scholz alla riesportazione del fiore all’occhiello dell’industria bellica tedesca. A Ramstein il cancelliere disse di no. Nelle stesse ore però cacciava dalla Difesa la poco competente Lambrecht per ingaggiare un Boris Pistorius più presente a sé stesso e alla Bundeswehr. E pochi giorni dopo dava il suo consenso all’invio a Kyiv dei sospirati Leopard 2. Cosa è successo da allora?

 

Poco. Ripresa con enfasi dalla Tass e con meno entusiasmo dalla stampa ucraina, la Welt ha scritto che né i Paesi Bassi né la Danimarca cederanno i Leopard 2 all’Ucraina. Nelle settimane precedenti l’Olanda aveva parlato di 18 carri pronti per la consegna, poi il governo di Mark Rutte avrebbe fatto marcia indietro “in consultazione con la Germania”. Anche la Danimarca non consegnerebbe alcuno dei suoi 44 Leopard 2. In cambio i due governi pagherebbero di tasca propria per l’ammodernamento di 100 Leopard della serie 1 attualmente nei cantieri delle imprese tedesche. Neppure la Spagna, che dispone sempre secondo la Welt di 327 pezzi Leopard 2, ha preso alcuna decisione su quanti spedirne a Kyiv. Per adesso solo Berlino e Varsavia hanno garantito 14 pezzi ciascuna, seguite da Oslo con otto, quattro da Ottawa e tre da Lisbona per un totale di 35 panzer sui cento promessi. 

 

Gli alleati della Nato avrebbero fatto di tutto per stanare il riottoso Scholz che, messa in piedi una Leopard-Koalition, si è poi trovato solo ed esposto, esattamente nella situazione in cui ha fatto di tutto per non trovarsi dall’inizio del conflitto. Anche chi, come Svezia (che di Leopard 2 ne ha 120) e Finlandia (200), non è ancora entrato nella Nato ma punta a farlo si riserva di cedere i propri panzer agli ucraini solo dopo l’ingresso nell’Alleanza. Silenzio anche dalla Francia con i suoi carri Leclerc. I progressi della Leopard-Koalition, ha ammesso Pistorius a margine del vertice Nato di martedì a Bruxelles, “sono meno che stellari” e alla domanda se avesse comprensione per quei paesi che hanno promesso tanto e poi cambiato idea il ministro tedesco ha risposto: “Sarò diplomatico: ne ho pochissima”. La Welt ha reagito stigmatizzando i riflessi antitedeschi di tanti europei e spezzando una lancia per uno Scholz che lavora dietro le quinte: “Questa vicenda dimostra che le persone che capiscono le responsabilità si muovono in silenzio. Solo le mezze calzette fanno rumore”.

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