Olaf Sholz (Ansa)

verso il consiglio europeo

Non c'è modo che Scholz accetti le proposte di Meloni che ostacolano le ong

David Carretta

Perché il documento informale dell’Italia sull’immigrazione rischia di sbattere contro il muro tedesco

Bruxelles. Al Consiglio europeo della prossima settimana, Giorgia Meloni rischia di andare a sbattere contro il muro della Germania, se insisterà con la richiesta di un codice di condotta dell’Unione europea per le navi delle ong. La proposta è contenuta in un “non paper” inviato dall’Italia alle altri capitali in vista della discussione tra i leader il 9 e 10 febbraio. Un capitolo è dedicato a un miglior coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso: l’Italia chiede all’Ue “linee guida concordate” a livello di Ue per le operazioni condotte dalle navi private, mercantili o ong. Dietro l’espressione “linee guida” c’è il codice di condotta, a cui però si oppongono la Germania e altri paesi europei. 

In generale il “non paper” dell’Italia va in una direzione considerata consensuale nell’Ue, anche se molti hanno dubbi sulle reali intenzioni di Meloni. “Affrontare la migrazione con un approccio sistemico e circolare”, è il titolo del documento informale, che contiene le idee del governo Meloni per prevenire le partenze, accelerare i rimpatri, creare corridoi umanitari, procedere a ricollocamenti all’interno dell’Ue. Un passaggio è dedicato al “nuovo Patto Ue per l’Africa”, uno dei progetti che Meloni ha presentato come grande novità, anche se ricorda il “Migration Compact” che Matteo Renzi aveva promosso nel 2016. Per capire la posizione del governo di Berlino sulle navi delle ong, a Bruxelles spiegano che occorre leggere l’accordo di coalizione tra la Spd di Olaf Scholz, i Verdi e i liberali della Fdp. Nel contratto, c’è una proposta in netta rottura con la politica del ministro dell’Interno di Angela Merkel, Horst Seehofer: lanciare una missione dell’Ue per le attività di ricerca e soccorso in mare, che oggi vengono garantite dalle navi delle ong, perché gli assetti italiani non operano più nella zona di ricerca e soccorso della Libia.

Scholz ha le mani legate dall’accordo di coalizione. Non c’è possibilità che il cancelliere dia il suo consenso a norme dell’Ue – formali o informali – che ostacolino il soccorso da parte delle navi delle ong. Da quanto appreso dal Foglio, la Germania è critica sul decreto adottato a inizio anno dal governo Meloni. La Commissione europea finora è rimasta in silenzio, nonostante dubbi su potenziali violazioni del diritto internazionale e del diritto europeo. Ma, secondo Berlino, è inaccettabile che il decreto renda più difficili i salvataggi e le operazioni delle ong. La Germania avrebbe deciso di sollevare il problema in un gruppo di contatto sul “Search and Rescue” istituito dall’Ue. 

Nel bozza di conclusioni del Consiglio europeo viene vagamente sottolineata “la necessità di cooperazione rafforzata” sul “Search and Rescue”. Ma la Germania ha chiesto che nella versione finale delle conclusioni ci sia un riferimento anche al rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani. Un altro messaggio al governo Meloni. Al vertice, i leader di Belgio, Paesi Bassi, Austria e Danimarca dovrebbero sollevare il problema dei movimenti secondari dall’Italia, chiedendo di rispettare le regole di Dublino, che prevedono di riprendere i migranti fuggiti in altri stati membri. Meloni rischia di andare a sbattere contro un muro anche su un'altra richiesta contenuta nel “non paper” dell’Italia: “i ricollocamenti obbligatori devono essere al cuore di ogni meccanismo di solidarietà al fine di fornire un sollievo efficace e prevedibile agli stati membri in prima linea”. La Germania sarebbe favorevole, ma c’è il veto degli alleati di Meloni: l’ungherese Viktor Orbán, il polacco Mateusz Morawiecki e il ceco Petr Fiala.

La bozza del Consiglio europeo si concentra sulla dimensione esterna delle politiche migratorie, su cui un accordo è più facile rispetto all’equilibrio tra solidarietà e responsabilità nella gestione dei migranti già presenti nell’Ue. L’obiettivo è incentivare gli accordi con paesi terzi per aumentare il numero dei rimpatri. L’idea di fondo è passare dalla “carota” al “bastone”: imporre sanzioni – restrizioni ai visti e dazi – ai paesi di origine e transito che non riprendono i loro migranti.
 

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