La guerra d'inverno

Così la Russia ha pianificato la crisi umanitaria dell'Ucraina. Altro che negoziati

Paola Peduzzi

Putin distrugge quel che non ha saputo conquistare e isola Kyiv per farla sentire sola. Il “realismo scemo” di chi parla di trattative (che Mosca bombarda ogni giorno) di fronte alla catastrofe 

Milano. La strategia della guerra di Putin & Co. è un metodo deliberato di intimidazione e distruzione. Ogni cosa che riguarda la leadership russa in questo momento parla di sangue e di ferocia, ed è soltanto da questa parte del conflitto, la nostra, che si discute di pace e di negoziati, come se davvero fosse possibile che, non riuscendo a fermare l’aggressore, si tenti di contenere l’aggredito. Putin bombarda l’Ucraina con costanza brutale: fa blitz possenti in occasione di eventi più importanti, come la liberazione della città di Kherson  da parte degli ucraini (nella regione che porta lo stesso nome sono state trovate nove camere di tortura approntate dai russi e 432 cadaveri di civili) o il voto europeo sulla Russia definita sponsor del terrorismo. Ma negli altri giorni, quelli dei bombardamenti più contenuti che scivolano in basso nella priorità delle notizie internazionali, continua ad ammazzare ucraini – neonati, bambini, che sono ormai più di 400 uccisi, adulti, che sono ormai più di seimila – e distrugge tutta l’Ucraina – strade, centrali, cavi elettrici, acquedotti, case, depositi di cereali. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ci saranno almeno tre milioni di sfollati in Ucraina; secondo il World Food Programme, il 40 per cento degli ucraini che vivono nell’est del paese non ha cibo sufficiente alla sopravvivenza; secondo la Banca mondiale il tasso di povertà in Ucraina potrebbe arrivare al 55 per cento (ora è al 25), cioè più della metà del popolo ucraino non avrà di che vivere.

 

Da tempo diciamo che Putin, con i suoi bombardamenti indiscriminati, vuole rendere l’Ucraina un posto invivibile: non era allarmismo, è  quello che sta accadendo a una velocità impressionante, appena la prima neve è caduta sul paese. Gli ucraini reagiscono con la loro straordinaria e commovente voglia di normalità: ripristinano acqua e corrente appena possono, rassicurano i cittadini dicendo che le interruzioni sono temporanee, che si può stare senza luce basta che si stia senza i russi, organizzano centri in cui ci si può scaldare, si può mangiare, si può caricare il telefono e navigare in rete.  Fanno di tutto per non restare isolati, scollegati dal resto del mondo o anche solo dai parenti in altre città. In nove mesi di guerra, duecentosettantatré giorni di guerra, Putin ha prima tentato di conquistare l’Ucraina, poi non essendoci riuscito, ha deciso di distruggere tutto ciò che non sa conquistare, un cavo elettrico alla volta: vuole dimostrare ai suoi sostenitori che l’obiettivo di piegare gli ucraini  – definiti prima nazisti, poi drogati, poi satanisti: non era nemmeno necessaria tanta fantasia, ai suoi sostenitori basta dire “ucraino” per aizzare il loro odio genocidario – è stato raggiunto; vuole che gli ucraini si sentano soli o con alleati che non sanno di fatto garantire loro sicurezza, difesa, normalità.

 

Lo fa con una violenza inaudita, senza nemmeno prendersi più la briga di negare l’evidenza quando colpisce (sempre) obiettivi civili, tanto è ormai immanente il suo disprezzo per le regole internazionali (che esistono anche nelle guerre: se le violi commetti un crimine) e per i più basilari dei princìpi umanitari. Putin conta sul fatto che la sua scommessa più grande non sia perduta: pensava che l’occidente non sarebbe corso in aiuto dell’Ucraina; quando invece l’occidente è arrivato, ha pensato che non sarebbe comunque durato troppo tempo; ora che invece il sostegno dura – siamo ancora uniti – prova a smantellarlo proiettando paure nucleari e insinuando il dubbio che c’era il 24 febbraio: gli ucraini non possono farcela, gli conviene arrendersi e conviene a voi alleati fare in modo che si arrendano. Sui media russi dipendenti dal Cremlino, esponenti politici e commentatori dicono in modo esplicito che gli attacchi alle infrastrutture ucraine servono per mostrare “l’odio sacro” contro gli ucraini e che lasciare il paese al buio e al freddo serve a farli capitolare.

 

Eccoci qui, dunque, all’inizio dell’inverno, con tutto ben chiaro davanti a noi, dagli obiettivi di Putin ai dati efferati della catastrofe umanitaria in corso in Ucraina, a discutere se sia il caso di dare agli ucraini i Predator a lungo raggio, se le relazioni tra alleati siano arrivate a un punto di rottura perché gli americani non riescono a convincere Volodymyr Zelensky a negoziare, se non sia davvero il caso di pensare che l’Ucraina può vincere qualche battaglia di riconquista territoriale, ma non può vincere la guerra. Eliot A. Cohen, esperto di politica internazionale che lavora in varie università e centri studi e scrive sull’Atlantic (aveva lavorato al dipartimento di stato di Condoleezza Rice dal 2007 al 2009), ha denunciato “il realismo scemo” di chi dice che le guerre possono finire soltanto con dei negoziati. Cohen cita il rifiuto di Churchill di negoziare con Hitler o quello di Lincoln di negoziare con Jefferson Davis e sottolinea che l’Ucraina “sta combattendo per la sua sopravvivenza come stato e come popolo, ma questa idea di conflitto esistenziale vale anche per il regime di Putin, la cui sopravvivenza richiede una vittoria”.

 

Questo non significa che non si debba lavorare a un negoziato, e infatti ciò che sta avvenendo è proprio l’apertura di canali di dialogo con la Russia a livello militare e anche diplomatico. Ma parallelamente a questi tentativi, che sono ogni giorno frustrati dalle bombe di Putin, è necessario intendersi sull’idea di vittoria, scrive Cohen: “L’occidente non può volere solamente ‘aiutare l’Ucraina a difendersi’, ma dobbiamo aiutare l’Ucraina a sconfiggere l’aggressione della Russia”. Per farlo servono le armi, per la guerra di terra e per contrastare in modo più efficace la guerra dei cieli di Putin, un’alleanza sempre più larga – per questo a ogni consesso internazionale l’occidente chiede ai paesi cosiddetti neutrali di scegliere da che parte stare – e la pressione economica sulla Russia. Così si può rovinare anche quest’ultimo calcolo di Putin, che mira a isolare e far sentire sola l’Ucraina. Che questa fosse la battaglia dell’inverno lo sapevamo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi