Foto di Bay Ismoyo, via LaPresse 

operazione “Artiglio-Spada”

Cosa sapevano americani e russi dei bombardamenti di Erdogan in Siria e Iraq

Mariano Giustino

La Turchia vuole creare una "cintura sunnita" libera dai combattenti curdi del Pkk e in cui trasferire gran parte dei rifugiati siriani che ospita. E' un progetto che Ankara coltiva da tempo, ma per attaccare ha bisogno dell'approvazione di chi controlla lo spazio aereo

Ankara. “Quando arriverà il momento, faremo ciò che è necessario”, ripeteva il presidente turco Recep Tayyip Erdogan dal 2020, come un mantra. Si riferiva a una possibile quarta operazione anticurda in Siria per completare quella che lui chiama “zona libera dal terrore”, cioè libera da ogni presenza curda del Partito dei lavoratori del popolo (Pkk) e della sua ramificazione siriana Ypg. Il presidente Erdogan punta in realtà a creare quello che possiamo definire una “cintura sunnita” nel nord della Siria e dell’Iraq che, partendo da ovest, dal Mediterraneo, correrebbe lungo tutta la Siria settentrionale, attraverserebbe l’Eufrate e poi il Tigri, giungendo in nord Iraq, includendo i monti di Sinjar dove vive la minoranza curda-ezida, fino al confine con l’Iran. L’intento è che questo corridoio, di circa 1.270 chilometri e profondo 30, sia amministrato da una popolazione araba-sunnita e turkmena, libero dalla presenza dei combattenti del Pkk che Ankara, Whasington e Bruxelles considerano una organizzazione terroristica, e pronto ad accogliere gran parte dei circa 4 milioni di rifugiati siriani ospitati in Turchia. Ora che l’Iraq nonostante la sconfitta dello Stato islamico non ha trovato ancora una sua stabilità ed è sotto l’influenza iraniana, ad Ankara c’è chi coltiva il sogno di ridisegnare le sue aree del nord ancora contese. 

 

A mezzanotte del 19 novembre le forze armate turche hanno lanciato l’operazione aerea “Artiglio-Spada” contro obiettivi appartenenti all’organizzazione armata Pkk/Ypg nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq, in risposta all’attacco terroristico 13 novembre a Istanbul in cui hanno perso la vita 6 persone e vi sono stati 81 feriti. Nemmeno  24 ore dopo è arrivata la risposta delle Unità curde di protezione del popolo (Ypg) che hanno condotto un attacco missilistico nel distretto di Karkamis nella provincia turca di Gaziantep, al confine siriano. Le forze curde hanno ucciso tre civili tra cui un bambino, sei le persone ferite. Fahrettin Altun, direttore delle comunicazioni presso la presidenza turca ha condannato l’attacco perpetrato da “organizzazioni terroristiche”.

 

Nelle dichiarazioni rilasciate dal ministero della Difesa nazionale in merito all’operazione proseguita la mattina del 20 novembre, si fa riferimento alla distruzione di 89 bersagli appartenenti ai “terroristi” precedentemente individuati nelle aree operative di Kobane (Ayn al Arab),  Tel Rifat, Cizre e Derik in Siria e Kandil, Asos e Hakurk nel nord dell’Iraq. Il presidente Erdogan aveva da tempo annunciato questa operazione quando ripeteva beffardamente e con tono minaccioso il verso di una nota canzone popolare d’amore turca: “Potrei venire una notte all’improvviso”. Il ministro della Difesa Hulusi Akar ha commentato l’attacco nelle aree curde della Siria e dell’Iraq settentrionale parlando di “tempo della resa dei conti”.  Secondo fonti militari, i jet turchi F-16 sono decollati dall’8th Main Jet Base Command a Diyarbakır, nel sud-est della Turchia. 

 

Molti osservatori si chiedono se Ankara abbia avuto l’approvazione di Washington e di Mosca per procedere. Considerando che lo spazio aereo sopra la Siria è completamente sotto il controllo di Stati Uniti e Russia, è impensabile che entrambi i paesi non ne siano stati almeno informati. In un annuncio pubblicato sul sito web del consolato generale americano a Erbil il 18 novembre, si consigliava ai cittadini americani di stare alla larga da queste regioni, affermando che “Secondo informazioni pervenute al consolato generale da fonti aperte e affidabili, la Turchia si stava accingendo a condurre un’operazione militare nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq”. Questo annuncio mostra che gli Stati Uniti avevano una conoscenza preliminare dell’operazione, compreso il luogo e la data. 

 

Ankara è alla vigilia di cruciali elezioni dall’esito non scontato e ha bisogno di utilizzare la leva del nazionalismo per cementare l’elettorato attorno ad una presunta minaccia curda che punterebbe a dividere il paese. Nel nord Iraq la Turchia mira a bloccare completamente l’accesso alle vie di comunicazione e di approvvigionamento del Pkk  al confine turco-iracheno e a quello siriano-iracheno, completando in questo modo il restante corridoio terrestre, dopo quasi 40 anni di infiltrazioni dei combattenti curdi del Pkk in Turchia e in Siria. Sono ancora in corso le operazioni militari nelle regioni settentrionali dell’Iraq di Metina, Zap e Avasin-Basyan, con la partecipazione di commando e forze speciali, sia di terra sia di aria e con il supporto dell’Iran.

 

Droni, aerei da guerra e artiglieria turca si sono per la prima volta spinti di oltre 30 chilometri in territorio iracheno per colpire al cuore il Pkk. L’organizzazione curda armata è militarmente sotto scacco in Siria e in Iraq e, in Turchia, è politicamente isolata dal momento che il leader curdo Selahattin Demirtaşs, in prigione dal 4 novembre del 2016, in due recenti lettere ha raccomandato a quella componente del Partito democratico dei popoli (Hdp) di recidere ogni legame con con il Pkk e di concentrarsi nella lotta politica parlamentare, democratica e pacifica, per i diritti di tutte le minoranze etniche e religiose del paese. Duran Kalkan, membro anziano del comitato centrale del Pkk, recentemente aveva affermato che il suo gruppo non sarebbe caduto nella “trappola del nemico” imprigionato in una guerra di trincea e ha promesso di portare il terrore nei centri urbani della Turchia.

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