Vladimir Putin (LaPresse)

Putin ha sbagliato i calcoli sul grano

Giuseppe De Filippi

La Fao ha rilevato che in agosto, per il quinto mese consecutivo, i prezzi alimentari mondiali sono diminuiti. Così il presidente russo si trova a dover fronteggiare un ribasso nelle attese di entrate dall’export di cereali e a dover ancora più dipendere dai buoni uffici del leader turco Erdogan

Il tentativo, guidato da Vladimir Putin, di ricattare il mondo riducendo sotto al minimo vitale il commercio del grano è in corso da mesi parallelamente al tentativo di congelare industrie e famiglie lasciandole senza gas. In entrambi i casi il presidente russo sconta una certa semplicità di ragionamento, molto efficace nella fase propagandistica (quella con cui si fa dire che il conto delle sanzioni arriva a chi le ha messe e non a chi le subisce), ma difficilmente in grado di avere conseguenze nella realtà dei mercati e degli approvvigionamenti mondiali.

Il grano ha un forte potere evocativo e la sua mancanza è fonte di preoccupazione istintiva, con una risposta emotiva perfino maggiore di quella scatenata dal ricatto sulle fonti energetiche. La partita, poi, non è limitata a una sfida di nervi tra Russia e Unione europea, come avviene per il gas (e in misura importante, ma minore, per il petrolio), ma coinvolge tutto il mondo, con vari schieramenti. Anche con il grano, però, i piani di Putin non stanno funzionando. La Russia ha dovuto cedere, grazie anche alle pressioni turche e a un’inedita capacità di influenza da parte dell’Onu, sulla scelta di bloccare tutte le navi in partenza dai porti ucraini.

 


Ora Putin rimette in discussione gli accordi firmati con la mediazione di Recep Tayyip Erdogan e chiede qualcosa di improponibile e cioè di escludere alcuni destinatari dal commercio di grano ripreso solo da alcune settimane. La Russia ammanta questa richiesta di terzomondismo e anticolonialismo, dicendo che i paesi ricchi si stanno accaparrando tutto il grano in partenza, addirittura deviando nei loro porti le navi destinate ai paesi in difficoltà alimentare. E’ interessante vedere come i cinesi da una parte e gli americani dall’altra (con qualche intervento europeo) si muovono, a volte in competizione, per creare rapporti con i paesi africani attraverso la facilitazione delle forniture di grano e altri cereali. Ed è importante rimarcare che anche questo tentativo di fare guerra non con le armi ma con il ricatto su prodotti di vitale necessità non stia funzionando.

 

La Fao ha rilevato che in agosto, per il quinto mese consecutivo, i prezzi alimentari mondiali sono diminuiti, con, al loro interno, le quotazioni internazionali del grano e degli altri cereali raffreddate e certamente uscite dai momenti di massima tensione. E’ una tendenza duratura, quella segnalata, avviata subito dopo il picco di prezzo toccato proprio nelle prime settimane dell’invasione russa. E’ come se i mercati mondiali avessero cominciato a far ripiegare i prezzi appena è passata la paura sull’efficacia del blitz russo. Mentre tutta la campagna successiva sulla distruzione dei campi ucraini, sul blocco dei porti e poi delle navi ha avuto effetti di breve periodo ma nulla ha potuto nelle fasi successive. La Fao ha un indice generale che raggruppa i principali cereali. E’ diminuito nell’ultima rilevazione, quella di agosto, dell’1,4 per cento rispetto al mese precedente e a trainare il calo è stata proprio la marcata diminuzione del prezzo del grano, meno 5,1 per cento, causata dalla riapertura dei porti e soprattutto dalle attese migliorate sulla stagione della raccolta estiva in Nord America (la raccolta di inizio autunno, tipica del Canada e del nord degli Stati Uniti, si annuncia eccezionale). Il riso, riferisce ancora la Fao, ha prezzi invariati da mesi; al calo di produzione del mais, per la siccità, hanno risposto gli incrementi nella raccolta per orzo e sorgo. L’affamatore del mondo, insomma, dovrà provarci un’altra volta, se gliene verrà data la possibilità. 

 

Ora, invece, Putin si trova a dover fronteggiare un ribasso nelle attese di entrate finanziarie dall’export di grano e a dover ancora più dipendere dai buoni uffici del leader turco Erdogan per salvare la faccia nella sua iniziativa contro la libertà di rotta e di attracco per le navi cariche di cereali in partenza dall’Ucraina. Una condizione in cui, a trarre vantaggi, ancora una volta non sarà la Russia.

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