Le crepe tra i siloviki

I critici del Cremlino aumentano ma dicono: il presidente è pavido

Micol Flammini

C'è una fronda contro Putin e si muove nei ranghi dell'esercito. Nessuna illusione, non è composta da chi vuole la pace, ma da coloro che ritengono sia un errore puntare soltanto al Donbas, che vorrebbero una guerra più vasta e sono pronti a tutto

Nella cerchia ristretta di Vladimir Putin c’è chi inizia a spazientirsi e  crede che il presidente  non sia adatto a gestire questa guerra. Le lamentele però non vanno nella direzione che i paesi occidentali si aspettavano: non sono borbottii di pace, sono piuttosto urla di guerra. A registrarle sono Irina Borogan e Andrei Soldatov, giornalisti russi con molti contatti dentro ai servizi segreti, che nelle scorse settimane avevano raccontato dell’arresto di Sergei Beseda, capo del Quinto servizio dell’Fsb, un’unità creata per mantenere legami nei paesi dell’ex Unione sovietica. Beseda è la prima vittima delle purghe di Putin di questa guerra, è stato portato nella prigione di Lefortovo,  conosciuta per il regime di detenzione più che rigido e la reputazione orribile. L’accusa sarebbe quella di non essere riuscito a creare un ambiente favorevole al Cremlino in Ucraina.

 

La faida che si sta creando in Russia, e nella quale Putin è finito al centro, è soprattutto tra esercito e Fsb. L’esercito crede che le agenzie di intelligence non abbiano fatto un buon lavoro causando il ridimensionamento degli obiettivi della guerra, che non punta più alla capitale Kyiv, ma alla “liberazione del Donbas”. Verrebbe da dire che l’esercito non riconosce le proprie carenze, sicuramente i servizi di intelligence di Mosca sono stati e sono poco efficienti sia prima sia durante la guerra, ma anche la macchina bellica russa ha dimostrato di essere lenta, farraginosa, imprecisa, molto al di sotto delle aspettative. Ma l’esercito ha una sua risposta da contrapporre a chi gli elenca i fallimenti: era preparato per uno scontro con l’Ucraina e invece si è ritrovato a combattere contro la Nato. Limitare gli obiettivi è comunque un errore, secondo l’esercito, e la frustrazione inizia a essere pubblica. Razvedos è il nome di battaglia di Alexander Arutyunov, un veterano della Guardia nazionale che pubblica video su YouTube in cui parla di armi e di strategia di guerra e di recente ha rivolto un appello a Putin chiedendogli di essere meno pavido: “Caro Vladimir Vladimirovich, per favore decidi, stiamo combattendo una guerra o ci stiamo masturbando?”. Chiede un’escalation, come i suoi colleghi del canale telegram FighterBomber, che parlano per conto dell’aviazione russa, e fanno riferimento all’uso di armi nucleari. L’esercito è scontento di Putin e della sua strategia ridotta che punta a un risultato ridimensionato, purché sia un risultato. Nel 2014, quando la Crimea fu annessa illegalmente all’Ucraina e scoppiò la guerra nel Donbas, c’era già chi riteneva che Putin, all’epoca all’apice del consenso, avrebbe dovuto fare di più: c’era chi lo definiva un debole, ma era una minoranza. Oggi viene criticato,  ma non si sentono lamentele nei confronti di Sergei Shoigu, il ministro della Difesa, che di questa guerra è l’architetto, e che ha conquistato i ranghi dell’esercito pur essendo un civile. 

 
La scorsa settimana, il vicecomandante Rustam Minnekaev ha detto che Mosca ambisce al controllo del Donbas, dell’Ucraina meridionale e ad arrivare fino alla Transnistria, l’enclave russofila della Moldavia. I suoi commenti vanno nella direzione delle lamentele dell’esercito e potremmo sentire spesso, in questi giorni, affermazioni contrastanti sugli obiettivi di guerra.  Borogan e Soldatov indicano che è la prima volta che i siloviki – i responsabili delle Forze armate e delle agenzie di intelligence e altre strutture – mettono le distanze tra loro e il presidente. Ed è un segnale che deve far capire molto: gli uomini che potrebbero essere disposti a mettere fuori dal Cremlino Putin potrebbero essere ancora più pericolosi del presidente russo. 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.