Il tocco di Putin sul Donbas e la Transnistria

Micol Flammini

Gli ucraini dell'est sanno che sotto la Russia non ci sono futuro e stabilità e temono di finire sotto il controllo di Mosca. In otto anni di guerra una parte della regione, quella di Kyiv, cresceva, quella filorussa si impoveriva. I rischi di trascinare anche la Moldova in guerra

Roma. La seconda fase della guerra della Russia all’Ucraina, per ora, procede con piccoli avanzamenti da parte di Mosca e riconquiste da parte di Kyiv. Il fronte si sposta, si aggiusta, e nel frattempo l’esercito russo danneggia dove può, anche fuori dal Donbas: ieri ha colpito almeno cinque stazioni ferroviarie nell’Ucraina centrale e occidentale. Ci sono stati morti e feriti e l’obiettivo era quello di paralizzare le infrastrutture della nazione,  impedire la consegna di armi e anche lanciare un messaggio  poche ore dopo la visita di Antony Blinken e di Lloyd Austin,  segretario di stato e della difesa americani. Nel Donbas, il bersaglio della seconda fase, la Russia cerca di arraffare territorio, ma fa grandi difficoltà a tenerlo, sia per le carenze del suo esercito sia per la resistenza dei cittadini. Nel Donbas la guerra va avanti da otto anni e, anche se prima era a bassa intensità e assomigliava a una pericolosa calma inquieta, c’era già una differenza piuttosto netta tra parte filorussa e parte ucraina. L’Ucraina ha fatto di tutto per mostrare come nella sua zona  ci fossero  il progresso e la cura e dell’altra delle aree economicamente in difficoltà. Con Volodymyr Zelensky questo processo è stato accelerato e i governatori delle oblast di Donetsk e Luhansk da lui nominati lo confermano. Pavlo Kyrylenko è il governatore di Donetsk e Serhiy Gaidai  di Luhansk , quella che finora ha sofferto di più per l’invasione e dalla quale  l’esercito ucraino si ritirò nella prima fase temendo di essere circondato. Intervistati dall’Atlantic, Kyrylenko e Gaidai hanno condiviso le loro paure sui leader occidentali, per i quali il Donbas non è oggetto di riconquista ma di scambio. 

 

I due governatori  la pensano come Zelensky, nulla può essere ceduto a Mosca, ma temono molto l’atteggiamento degli alleati. Tutti e due parlano russo e la divisione di questa guerra per Kyrylenko, che ha trentacinque anni, è anche una questione di famiglia: i suoi genitori e un fratello vivono di là, nella parte filorussa, in quella che si è autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk e stanno con Vladimir Putin. Passare sotto Mosca non vorrebbe dire soltanto aver perso la battaglia per cui si combatteva, ma per molti abitanti del Donbas vorrebbe dire anche rinunciare a un tenore di vita migliore. La guerra che Mosca definisce di liberazione è svanita nel momento in cui i soldati russi hanno capito che neppure nelle aree prevalentemente russofone, come il Donbas, sarebbero stati accolti dalla popolazione. Così anziché entrare nelle città, i russi hanno deciso di distruggere con l’artiglieria a lunga distanza prima di occupare, e non sempre tengono il territorio. I cittadini che sapevano della differenza tra la parte ucraina del Donbas e quella filorussa non temono soltanto la guerra, ma anche il futuro. Non soltanto si pongono l’interrogativo di chi ricostruirà i loro territori se finiscono nelle mani di un paese in sofferenza economica come la Russia, ma soprattutto conoscono l’incuria dall’altra parte del fronte. L’annessione della Crimea nel 2014  doveva essere la vetrina del benessere promesso da  Putin. Ma il risultato è stato il contrario: l’Ucraina  attorno diventava più moderna, la Crimea  si impoveriva nonostante Mosca continuasse a spendere denaro. Sergei Aleksashenko è stato vicegovernatore della Banca centrale russa e ha stimato che la Crimea è costata a Mosca 2,1 trilioni di rubli, 33 miliardi di euro: circa il 20 per cento del pil perduto. Queste spese spiegano anche perché Mosca nel 2014 decise di congelare il conflitto nel Donbas: un’altra annessione era troppo costosa e avrebbe comportato oneri che il Cremlino sapeva di non poter prendere. Meglio un conflitto prolungato, senza responsabilità di alcun genere sui territori dei filorussi, senza investimenti o ricostruzioni sponsorizzate da Mosca. Così, mentre il Donbas ucraino cambiava e si ricostruiva, quello filorusso si impoveriva. 

 

Ieri il ministero dell’Interno della Transnistria, l’enclave filorussa in Moldova, è stato colpito da un lanciagranate. Potrebbe trattarsi di un operazione di false flag che fa seguito all’annuncio di Mosca di voler liberare anche i russi oppressi di Tiraspol. Per ora non ci sono conferme, ma si può trarre un dato, che vale per la Transnistria come per il Donbas: i territori controllati da Mosca sono sempre meno ricchi e sempre più instabili.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.