Incontro tra il primo ministro svedese Magdalena Andersson e l'omologa finlandese Sanna Marin a Stoccolma (foto LaPresse) 

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Il Cremlino fa i calcoli per bloccare l'adesione di Finlandia e Svezia alla Nato

Luciano Bozzo

Cosa può fare la Russia contro il progetto atlantista nel Baltico

Finlandia e Svezia sono oramai orientate a chiedere l’ingresso nella Nato, un mutamento epocale del quadro strategico baltico. A Helsinki il dibattito parlamentare è iniziato il 19 aprile, in un’atmosfera intensa, solenne. Due i punti condivisi: la decisione dovrà essere il più possibile consensuale e l’ingresso nell’Alleanza ha funzione deterrente, la capacità nazionale di difesa non ne risulterà diminuita. Leader e partiti che in passato furono strenui sostenitori della neutralità si sono mostrati aperti, una volta terminato il dibattito parlamentare, all’ipotesi di sostenere la richiesta di adesione. Il percorso è segnato. Come dichiarato dalla premier Sanna Marin, in occasione della conferenza stampa con sua omologa svedese Magdalena Andersson del 13 aprile a Stoccolma, la richiesta potrebbe essere questione di settimane più che di mesi.

     
Stando a un sondaggio dell’11 aprile il 68 per cento  dei finlandesi è a favore e solo il 12 per cento  contrario. In Svezia la prima percentuale cala di una decina di punti e la seconda sale di altrettanti. Anche in Svezia è comunque in atto un processo di radicale revisione della politica di sicurezza, i cui esiti sono attesi per la fine di maggio. Con la più alta probabilità la richiesta finlandese di adesione sarà presentata prima del 29 giugno, data d’inizio del summit Nato di Madrid sulla revisione dello Strategic concept. Quella svedese potrebbe essere contestuale, come auspicato dal ministro della Difesa, o seguire. I due paesi hanno già preso parte in passato a esercitazioni della Nato, scambiato informazioni con gli alleati, simulato gestioni congiunte di situazioni di crisi e contribuito alla missione Nato in Afghanistan e a quella multinazionale contro lo stato islamico. Le loro forze armate sono più interoperabili con quelle Nato delle forze di alcuni paesi già membri. Sotto l’aspetto militare-operativo l’adesione potrebbe dunque avvenire rapidamente. Non altrettanto rapida potrebbe essere la procedura formale, che prevede per ciascuno dei 30 membri dell’Alleanza la ratifica della necessaria modifica del trattato istitutivo. Nel caso di Albania e Croazia occorse quasi un anno, ma stavolta i tempi potrebbero essere più brevi. E qui sta il problema strategico più immediato. 

 
A parole la reazione russa è violenta. Il 14 aprile Dmitri Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale, ha dichiarato che l’adesione di Svezia e Finlandia vanificherebbe la più volte prospettata creazione di un’area libera da armi nucleari nel Baltico. Medvedev ha anche minacciato “serie” conseguenze politico-militari. A “un tiro di sasso” da Finlandia e Svezia la Russia schiererebbe missili ipersonici, armi nucleari imbarcate e ciò creerebbe forti tensioni ai confini. Ma nel Baltico la tensione esiste da tempo. Il ministro della Difesa lituano Arvydas Anusauskas ha fatto notare che dal 2018 testate nucleari e sistemi Iskander (SS-26 Stone), con raggio d’azione di almeno di 500 chilometri, sono dislocati nell’exclave russa di Kaliningrad, tra Polonia e Lituania. Territorio distante 500 chilometri da Berlino e 1.400 da Parigi e Londra. Putin ha però un’opzione convenzionale più credibile e immediata: potrebbe approfittare dei tempi non brevi della procedura di adesione per lanciare uno o più attacchi limitati, diretti ad acquisire il controllo di piccole porzioni di territorio finlandese o svedese. E’ ciò che fece nel 2008, reagendo all’ipotesi di ingresso della Georgia nella Nato. Se lo facesse di nuovo la Nato non potrebbe che congelare le adesioni. Nell’Alleanza vige infatti la regola tacita per cui non viene ammesso un paese impegnato in un conflitto armato, per evitare che scatti il disposto dell’art. 5 del Trattato sull’obbligo di difesa collettiva. Una regola che di fatto ha tenuto dormiente per lunghi anni la stessa richiesta di adesione dell’Ucraina. Certo, l’art. 42.7 del Trattato dell’Ue prevede che ove un membro sia vittima di aggressione gli altri debbano intervenire in sua difesa. Ben più credibile garanzia di sicurezza per la Finlandia, più esposta alla minaccia, è però un’altra. 

  
Tre delle quattro brigate russe schierate in prossimità del semideserto confine finlandese di oltre 1.300 chilometri, la 200a fucilieri meccanizzata e la 61a marines nella regione artica e la 138a meccanizzata nell’istmo di Carelia, risultano inviate e impegnate pressoché per intero in Ucraina. L’80a, schierata al centro, pare essere invece in via di costituzione e non ha prontezza operativa. A un eventuale tentativo di colpo di mano convenzionale russo si opporrebbero il piccolo (16.000 unità) ma addestrato, motivato e ben armato esercito finlandese, una riserva forte di 280.000 uomini, fiore all’occhiello nazionale, e quasi 700 tra pezzi e sistemi di artiglieria. L’orso russo è pericoloso perché ferito, il suo ruglio nucleare.