La resistenza perfetta

Voznesensk è diventata la città-manuale per cacciare i russi in quarantotto ore

Cecilia Sala

“Prima di entrare le truppe di Putin facevano paura”, dice il sindaco Yevheni Velichko. Quello che è successo qui durante i primi giorni dell’invasione ha dato fiducia alla resistenza in tutto il paese

Voznesensk. Nella notte atterrano due elicotteri, uno nel giardino di una villetta a schiera e l’altro in una cascina ai confini della città: entrambi trasportano gruppi di élite russi. Quasi contemporaneamente una colonna di mezzi militari entra dal corso principale. Il centro di Voznesensk – una città  grande più o meno come Aosta, nel sud dell’Ucraina – è separato dalla parte sud da un ponte di ferro e cemento che gli ingegneri militari ucraini hanno fatto saltare. Quella notte il proprietario della cascina e la famiglia che abita nella villetta vengono presi in ostaggio, i russi sequestrano i loro telefoni per evitare che diano l’allarme e li costringono a rimanere sdraiati, poi ordinano alle donne di cucinare qualcosa per il loro ritorno: non sono mai tornati. Voznesensk ha trentacinquemila abitanti e tutti hanno fatto quello che potevano per mettere in fuga i russi: ci sono riusciti in quarantotto ore. Non avevano neanche un carro armato, i soldati si erano concentrati più a sud dove servivano per bloccare l’avanzata dalla Crimea e in città non ne erano rimasti molti, ma potevano contare sull’aiuto di cinquecento civili iscritti ai gruppi di difesa territoriale e sui colpi dell’artiglieria amica posizionata sulla collina oltre il fiume. “E’ arrivata l’alba e siamo usciti dalle case, anche disarmati si poteva fare qualcosa”,  dice al Foglio Sergii, che vive a Voznesensk e fa l’autotrasportatore.

 

“C’era chi tirava le molotov e chi strappava le mitragliatrici installate sui carri armati russi mentre bruciavano in strada”, dice Sergii.  I russi in questa zona avevano schierato un intero Btg (i battaglioni tattici che corrispondono alle unità in cui vengono organizzati i soldati e le armi), cioè ottocento uomini con i loro mezzi, ma non è bastato. Quattrocento, nella notte tra il 2 e il 3 marzo, erano dentro la città. Dopo due giorni i sopravvissuti sono stati costretti a scappare lasciandosi alle spalle decine di cadaveri dei loro compagni oltre a carri armati, camion e blindati lancia razzi per un totale di trenta veicoli sui quarantatré utilizzati per l’assalto. Questo dato ha reso la battaglia di Voznesensk un caso da manuale da citare ogni volta che si parla del numero spaventoso di perdite subite dai russi in un mese di guerra. Anche i due elicotteri Mi-24 con cui erano arrivati i gruppi d’élite sono stati distrutti.

 

Gli abitanti hanno contato undici cadaveri di soldati nemici nelle strade e nei giardini del centro, altre decine nella valle intorno al fiume, poi ci sono quelli carbonizzati dentro i mezzi colpiti e dieci russi che sono stati catturati. Secondo la Difesa ucraina, in quarantotto ore l’esercito di Mosca ha perso cento uomini su quattrocento a Voznesensk. Adesso i corpi sono nelle celle frigorifere montate su dei vagoni merci, le autorità ucraine hanno chiesto ai russi come fare a restituirli ma non hanno ricevuto risposta. “Ci sono arrivate molte telefonate per avvisarci che erano atterrati gli elicotteri, altri hanno chiamato per segnalare la posizione di un cecchino in un palazzo e qualsiasi movimento di mezzi del nemico. Spesso erano informazioni che conoscevamo già, ma è stato un segnale importante: i cittadini non stavano cercando il modo di scappare ma di fare la loro parte”, dice Yevheni Velichko, il sindaco di Voznesensk. Quello che è successo nella sua città durante i primi giorni dell’invasione ha dato fiducia alla resistenza in tutto il paese. “L’esercito russo, prima di entrare a Voznesensk, faceva paura”.

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