Ansa

Non è follia: è nazionalismo

La strategia di Putin sembra essere dettata da tutto tranne che dall' irrazionalità

Claudio Cerasa

L’aggressione al ventre molle dell’occidente e il whatever it takes che manca (anche in Italia): si può discutere se usare o no le truppe della Nato, ma tutte le armi alternative per colpire il cuore dell’economia russa devono essere utilizzate, anche a costo di subire qualche contraccolpo

C’è chi dice che non si renda conto di quello che sta facendo. C’è chi dice che non abbia idea delle conseguenze delle sue azioni. C’è chi dice che sia un pazzo guidato da un sentimento più vicino alla follia che alla razionalità. E c’è chi dice che prima o poi, vedrai, ci penserà l’economia a convincerlo a fare quello che in fondo non può non fare: fermarsi. Eppure, l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, che improvvisamente proietta il mondo in una stagione cupa di dittature all’opera e di autoritarismi in marcia, è lì a dirci che la strategia del presidente russo, purtroppo, sembra essere dettata da tutto tranne che da un insieme di sprazzi di irrazionalità.

 

Prima, nel 2008, riconquista una parte della Georgia, sfruttando la passività dell’occidente. Poi, nel 2014, afferra  la Crimea dall’Ucraina e l’Europa, piuttosto che esercitare al massimo il suo potere di deterrenza, assiste all’aggressione in modo inerme, mettendo in atto sanzioni che non hanno avuto effetto e rendendosi sempre più ostaggio delle forniture energetiche e dei ricatti russi. Quindi, nel 2021, subito dopo il disastroso ritiro dall’Afghanistan, Putin inizia in modo certosino a sfruttare il ventre molle della Nato avvicinandosi in modo sostanzialmente indisturbato all’Ucraina e facendo leva su un equivoco perfettamente  sintetizzato due giorni fa dal Wall Street Journal: “L’errore che l’occidente ha commesso per un decennio è pensare che Putin possa essere un ragionevole partner geopolitico. Putin non vuol far parte dell’attuale ordine internazionale: vuole farlo esplodere”.

 

Quella che in molti chiamano pazzia, in realtà, è invece qualcosa di molto specifico che coincide con una dottrina politica e culturale che negli anni prepandemici ha fatto breccia anche tra le democrazie liberali. Non si chiama follia. Si chiama nazionalismo. E nel caso specifico si chiama nazionalismo imperialista, abilmente mascherato da Grande Guerra Patriottica. E l’assolutizzazione dell’interesse di una nazione, portata alle sue estreme conseguenze, crea idolatria, produce fanatismo, alimenta divisioni, genera conflitti. E finisce per mettere in campo ogni menzogna possibile (“i nazisti dell’Ucraina”) e ogni soluzione possibile (anche la guerra) per evitare una forma di contagio che per i regimi autoritari è più pericolosa di una pandemia: l’affermazione della democrazia liberale, l’idea cioè che lontano dai regimi e dai dittatori la democrazia e la libertà possano essere un binomio inscindibile.

 

“Va constatato – disse Papa Francesco il 2 maggio del 2019, mettendo in campo un discorso che chissà se oggi il Papa avrebbe la forza di rifare di fronte all’aggressione di Putin – che le frontiere degli stati non sempre coincidono con demarcazioni di popolazioni omogenee e che molte tensioni provengono da un’eccessiva rivendicazione di sovranità da parte degli stati, spesso proprio in ambiti dove essi non sono più in grado di agire efficacemente per tutelare il bene comune”. E invece, oggi, di fronte a un esercito russo che, nell’ordine, vìola la Carta delle Nazioni Unite, le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, tutti i princìpi che stabiliscono la pace in Europa, in particolare l’atto finale della conferenza di Helsinki del 1975 che, come notato dall’Economist, garantisce il rispetto dell’indipendenza, della sovranità e dell’integrità territoriale degli stati, il non ricorso alla minaccia o all’uso della forza, l’inviolabilità dei loro confini.

 

Ecco, di fronte a tutto questo, di fronte alla necessità di difendere l’Ucraina da una violenza che punta a colpire non solo le province del Donbas ma anche le democrazie liberali, si può discutere se usare o no le truppe della Nato ma non si può discutere se usare o no tutte le armi economiche alternative  per colpire il cuore dell’economia russa anche a costo di colpire ai fianchi la nostra economia (compresa l’esclusione dal sistema Swift: vedi editoriale a pagina tre). Whatever it takes, avrebbe detto un tempo un signore di nome Draghi. Toc toc.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.