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C'è un'ipotesi turkmena per il Tap e dipende da una successione

Davide Cancarini

Il paese detiene le quarte riserve al mondo di gas naturale. Al presidente succederà il figlio primogenito. Basterebbe anche solo che l’ipotesi di esportazioni turkmene in direzione dell’Europa diventasse meno improbabile per infastidire Putin

Una delle prime ritorsioni messe in campo nei confronti della Russia dopo il riconoscimento delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk è stato l’annuncio del congelamento del gasdotto Nord Stream 2. Una situazione che costringerà presto i paesi europei a muoversi concretamente sul fronte energetico, alla ricerca di alternative credibili alle esportazioni russe. A finire sotto i riflettori potrebbe essere anche il Turkmenistan, paese in cui sta per concretizzarsi un importante passaggio di consegne.

 

Le elezioni anticipate del 12 marzo prossimo segneranno infatti la fine dei 15 anni di follia dittatoriale del dimissionario Gurbanguly Berdymukhammedov. Le diplomazie internazionali non faranno però molta fatica a memorizzare il cognome del nuovo presidente, visto che a succedere al leader turkmeno sarà il suo primogenito, il quarantenne Serdar. Cresciuto all’ombra del padre e, a prima vista, destinato a continuare sulla strada tracciata, lastricata di isolazionismo, corruzione e repressione brutale.

    

   
 

Per quanto nel segno della continuità, l’avvicendamento farà storcere il naso a Vladimir Putin. Se non altro per la tempistica, considerando appunto la partita che il capo del Cremlino sta giocando lungo i confini dell’Ucraina. Allergico ai cambiamenti, Putin è consapevole che gestire un sistema come quello turkmeno è solo apparentemente semplice, quando in realtà sotto la superficie le lotte interne alla nomenklatura sono spesso senza esclusione di colpi. Ecco forse spiegata la ragione della scelta dell’attuale leader di Ashgabat, intenzionato a supervisionare da vicino i primi passi “presidenziali” del figlio, accompagnato in quasi tutte le sue uscite pubbliche dal fidato ministro degli Esteri. Un esordio che anche il leader della Federazione Russa seguirà con grande attenzione, per impedire anche il più impercettibile spostamento del baricentro turkmeno in direzione ovest.

   
Il Turkmenistan, infatti, detiene le quarte riserve al mondo di gas naturale e proprio il nome della repubblica centro asiatica viene sempre più spesso citato come possibile supporto alle forniture azere attraverso il gasdotto trans-adriatico, il Tap. La partita è in realtà molto complicata. E non solo perché il Turkmenistan ha siglato ingenti contratti di fornitura con la Cina, che per ora rappresenta il suo unico mercato. A pesare è infatti soprattutto l’ostilità della Russia. Putin, che ha dovuto accettare suo malgrado il prepotente ingresso cinese nel mercato energetico centro asiatico, si opporrebbe con tutte le sue forze – perché no, anche militari – all’ipotesi che il Turkmenistan possa iniziare a vendere il proprio gas all’Europa. Gli acquirenti europei sono infatti troppo importanti per la tenuta economica russa e l’influenza politica che la dipendenza fornisce al Cremlino è un qualcosa di difficilmente sacrificabile.

  
Certo non sull’altare delle potenziali mire di apertura verso l’esterno di un giovane e rampante leader. Va però detto che la crisi economica è talmente profonda in Turkmenistan, ed è talmente legata alla scellerata politica energetica dell’attuale leader del paese, che almeno un tentativo di svolta non sarebbe ingiustificato. L’Asia centrale ha d’altronde abituato negli ultimi anni a improvvise accelerazioni. Come in Uzbekistan: l’attuale presidente, Shavkat Mirziyoyev, è diventato leader dopo anni di militanza nei governi del precedente dittatore, Islom Karimov, ma ha impresso una svolta di apertura economica al paese non appena salito al potere.  

   

Il contesto turkmeno è però differente – il regime controlla con relativa facilità una popolazione scarsa e disseminata su un territorio estesissimo – ma i cambiamenti di leadership sono spesso portatori di novità. Del resto, basterebbe anche solo che l’ipotesi di esportazioni turkmene in direzione dell’Europa diventasse meno improbabile per infastidire Putin e accrescere il peso negoziale dell’Ue. I margini sono molto stretti, ma la posta in palio vale  un tentativo da parte di Bruxelles. 

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