un girotondo

Che fare con Nord Stream 2?

Maria Carla Sicilia

Il gasdotto della “discordia” è ancora bloccato, ma il suo futuro dipende da scelte strategiche ben precise. La diversificazione necessaria, di infrastrutture e di fonti energetiche, il ruolo del Tap e del Gnl, il rapporto con la Russia e la crisi dei prezzi 

[Aggiornamento del 22 febbraio]  Il governo tedesco ha sospeso le autorizzazioni del Nord Stream 2 dopo che ieri sera il presidente russo ha firmato un decreto che riconosce le due repubbliche separatiste del Donbass. 


 

Le ragioni che tengono ancora fermo il Nord Stream 2 stanno avendo un impatto diretto sull’aumento dei prezzi energetici che l’Unione europea si trova ad affrontare. Prima che la Russia iniziasse a esercitare la sua pressione militare sul confine ucraino, l’Agenzia federale tedesca per le reti aveva sospeso il via libera al gasdotto, ormai pronto a entrare in funzione. Formalmente potrebbe essere tutto sbloccato quando la controllata di Gazprom si metterà in regola con le richieste europee di gestione della rete. Ma le tensioni politiche con la Russia mettono ancora una volta in discussione l’entrata in funzione della contestata infrastruttura che dovrebbe rifornire l’Europa di 55 miliardi l’anno di gas senza passare dall’Ucraina.

In questo contesto l’Unione europea si trova ancora una volta di fronte a una scelta: mandare a regime l’opera per avere una soluzione immediata alla crisi dei prezzi energetici oppure porre delle condizioni ed eventualmente rinunciare a queste forniture di gas per non rinforzare la posizione di Putin. Ma a che prezzo e con quali alternative? Parlano Alberto Clò, Alessandro Gili, Massimo Nicolazzi e G.B. Zorzoli. 


Perché per l’Italia è un progetto a perdere

Del Nord Stream 2 si è preso a parlare e dibattere dal 2011 con posizioni che apparvero sin da allora divergenti tra istituzioni europee e Russia col coinvolgimento di imprese non solo tedesche (Uniper e Wintershall) ma anche francesi (Engie) olandesi (Shell) e austriache (Omv) che contribuirono al finanziamento dell’opera. Le scelte furono fatte allora e lamentarsene ora ha poco senso. Le conseguenze apparvero subito ben chiare per due ragioni. Primo: un asservimento ancor più forte dell’Europa alle forniture russe, anche per la incredibile possibilità data a Gazprom di disporre in Europa di diversi siti di stoccaggio  (il cui mancato riempimento ha contribuito all’esplosione dei prezzi). Secondo: un rafforzamento della Germania nel mercato metanifero europeo, di cui diveniva il grande hub a detrimento degli altri paesi a partire dall’Italia che di fatto rinunciava a divenire a sua volta hub meridionale col famoso Corridoio Sud e la realizzazione di diversi gasdotti sud-nord (Igi.Poseidon, East Med, Nabucco, etc.). Ci troviamo invece a essere un vaso di coccio nella morsa Russia-Germania, dovendo anche subire l’aggravio dei costi di trasporto del metano fissati dalle autorità tedesche che nel 2019 l’Autorità dell’energia quantificò in 500 milioni di euro. Pensare ora di abbandonare quest’opera già ultimata accentuerebbe le tensioni geopolitiche con la Russia; rischierebbe di consolidare le forniture russe verso la Cina; porrebbe interrogativi sulla capacità di soddisfare i consumi crescenti di metano in Europa, conseguenti soprattutto all’annunciato abbandono delle centrali a carbone e nucleari in Germania. Il mancato esercizio del Nord Stream 2 per l’intervento del regolatore tedesco BundesNetzAgentur che gli ha ingiunto di essere compliant con le norme europee secondo cui solo una compagnia certificata come tedesca può essere riconosciuto come operatore, fa prevedere uno slittamento dei tempi nella seconda metà dell’anno con le forniture che potrebbero partire nel prossimo inverno. Ma tutto dipenderà dall’evolversi della situazione politica. In caso di conflitto e in assenza di ogni negoziato di pace si interromperà il processo autorizzativo. Con la prospettiva di scontri legali tra le molte parti in causa. Gazprom compresa, cui potrebbe essere chiesto conto della mancata consegna del gas in base ai contratti a lungo termine con pesantissime sanzioni che non possono essere escluse.
Alberto Clò 
direttore di Rivista Energia

 

Mosca guarda anche altrove

Sin dalla sua ideazione, il progetto di raddoppio del Nord Stream è stato causa di importanti attriti e tensioni internazionali. Da una parte la Germania che ha sempre sostenuto l’importanza del progetto per supplire alla domanda di gas del paese e dell’Europa; dall’altro lato, contrari, Stati Uniti e Unione europea che giustamente ricordano come il progetto aumenti la dipendenza dalla Russia, che già senza il Nord Stream 2 nel 2021 ha fornito il 38 per cento del totale della domanda di gas europeo. Una dipendenza in crescita, che è contraria soprattutto alla European Energy Security Strategy, che richiedeva un aumento della diversificazione dei fornitori. Siamo di fronte quindi a un trade-off: devono prevalere considerazioni di mercato o ragioni strategiche e geopolitiche? L’attivazione del Nord Stream 2, completato ma ancora bloccato dal regolatore tedesco, aumentando l’offerta diminuirebbe il costo del gas, garantendo il prosieguo della ripresa economica europea e raffreddando l’inflazione. D’altra parte, dobbiamo considerare che nel breve termine, l’attivazione del Nord Stream 2 aumenterà ulteriormente la dipendenza dalla Russia, anche a causa della bassa percentuale di produzione europea di gas, che è passata dal 24 per cento del totale della domanda nel 2015 al 9 per cento nel 2021. Probabilmente sarà inevitabile procedere all’attivazione del Nord Stream 2 per non vivere con prezzi eccessivamente alti e con il timore di un inverno al freddo il prossimo anno. Ma questo tempo deve essere sfruttato per aumentare la diversificazione delle fonti del gas, vista anche la recente inclusione di questa fonte energetica nella tassonomia europea, ma soprattutto per imprimere una spinta decisa alla transizione verso le rinnovabili. Il possibile raddoppio del Tap (che comunque garantirebbe 7,5 miliardi di metri cubi annui aggiuntivi rispetto ai 55 del Nord Stream 2 e dovrebbe passare dalla Turchia), l’aumento delle forniture dalla sponda sud del Mediterraneo o l’aumento della produzione europea sono tutte soluzioni che richiederebbero tempi lunghi per entrare a regime. Un aumento delle quote di Gnl (ad esempio da Stati Uniti e Qatar) aiuterebbe a diversificare le forniture ma l’offerta non può sicuramente sostituire integralmente quella proveniente dai gasdotti russi. E intanto Mosca guarda anche altrove: se nel 2019 ha completato il gasdotto Power of Siberia con la Cina, a febbraio di quest’anno ha firmato un contratto trentennale con Pechino per nuove forniture di gas con un nuovo gasdotto da completare entro tre anni, mentre è in fase di studio il Power of Siberia 2, che attingerebbe direttamente dai giacimenti ora destinati all’export verso l’Europa. Una partita ad alta tensione, in cui l’Europa deve valutare attentamente la propria strategia, perché non è l’unica ad avere delle opzioni.
Alessandro Gili 
Ispi 


Rinunciare al Nord Stream 2 equivale a un’autosanzione 

La premessa è che parliamo di una infrastruttura ormai completa di fronte alla quale aprire il rubinetto resta sempre possibile. Inutile quindi pensare di rinunciare al Nord Stream 2. Il Nord Stream 2 c’è. Dobbiamo decidere se usarlo oppure no. Ma se volessimo tenere ferma l’opera, quali alternative avremmo? Se l’obiettivo è dipendere meno dalla Russia allora l’Unione europea deve accettare di pagare il gas  più o almeno  quanto lo pagai l’Asia. L’unica ulteriore fonte via tubo è il raddoppio del Tap. 
Non so poi se liberarsi della Russia sia una priorità politica. La Russia è un fornitore che non può permettersi di non esportare senza minacciare il suo budget federale. In questa crisi sono stati gli europei che hanno minacciato di non volere il suo gas, quasi minacciando di autosanzionarsi. Se invece riteniamo che sia una priorità politica, ci resta poco da fare: l’alternativa è più Gnl, con un piccolo contributo (su scala europea) del Tap. Che vuol dire una competizione sul prezzo marginale tra Europa e Asia. La crisi dei prezzi che stiamo vivendo dimostra che siamo prigionieri a tempo indeterminato non della Russia ma del mercato, che è quello che fa i prezzi e determina i volumi. Nel breve periodo non ci sono soluzioni miracolose. Se i prezzi del gas continueranno a rimanere alti, come il mercato dei futures ci suggerisce, fino alla primavera dell’anno prossimo i governi dovranno affrontare in maniera selettiva un tema di povertà energetica e di sopravvivenza del tessuto industriale. Ricordiamoci però che dipendiamo dal mercato dei fossili nella misura in cui non siamo efficienti nel medio e lungo periodo nella loro sostituzione. Per determinare come affrontare questa sostituzione, serve un approccio realistico e laico, capace di quantificare quale potrebbe essere il nostro fabbisogno di gas di importazione nei prossimi decenni. Considerando che il gas è temporaneamente insostituibile nella generazione elettrica, perché è l’unico stabilizzatore di sistema ai fini del bilanciamento, almeno fino a quando non avremo batterie o sistemi di accumulo un po’ diversi da quelli attuali; e anche nel medio periodo nelle filiere industriali hard to abate. Oggi che il Nord Stream 2 è pronto, forse è più utile riflettere sulle condizioni politiche e contrattuali alle quali il rubinetto del gas deve essere aperto. Ma non c’è dubbio che per l’Europa la condizione migliore è che questo flusso di gas ci possa essere. Ricordandoci che non sono i governi a produrre e vendere il gas, ma gli operatoti privati. Dunque l’unica cosa in mano alla politica sono le infrastrutture, in termini di permitting e autorizzazioni: in questa sfera il pubblico può ancora indirizzare delle scelte. Potrebbe essere  politicamente legittimo se l’Unione europea chiedesse alla Russia di impegnarsi a non abbandonare il transito del gas dal territorio ucraino, per esempio. Ma non possiamo fare finta di non accorgerci che se l’Europa non diversifica le infrastrutture di importazione del gas, in prospettiva la quota di mercato della Russia è destinata ad aumentare. Basta guardare da dove compriamo il resto del metano: l’Algeria, sospettata di un forte potenziale di declino delle riserve disponibili all’esportazione; la Libia che ha il gas ma ha altri problemi di sicurezza; Groningen, che è il più grande campo europeo ma quest’anno si celebra il suo funerale; la Norvegia, che a questi prezzi e condizioni può avere dei problemi di rimpiazzi di riserve. E’ vero che i consumi dell’Unione europea si stanno riducendo, ma la produzione interna si è quasi dimezzata negli ultimi dieci anni. E dobbiamo necessariamente almeno nel breve/medio periodo rimpiazzarla.
Massimo Nicolazzi
Università di Torino

 

Le alternative esistono, ed è ora di considerarle

La costruzione del Nord Stream 2 è stata una scelta politica tedesca, che ritengo strategicamente errata, portata avanti nonostante la contrarietà degli Stati Uniti e i dubbi dell’Unione europea. E soprattutto grazie al ruolo che ha avuto all’epoca l’ex cancelliere Gerhard Schröder. Ancora oggi, nel contesto di una crisi energetica come quella che stiamo vivendo, faccio fatica a superare le perplessità rispetto alla funzione di questo gasdotto. Anche perché esistono delle alternative: per esempio aumentare i volumi di Gnl oppure raddoppiare il flusso di gas azero che transita attraverso il Tap. Entrambe le ipotesi avrebbero l’effetto positivo di diversificare le importazioni, riducendo dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia. Per questo ritengo che sia ancora strategicamente più intelligente non fare entrare in funzione il Nord Stream 2. In una crisi del gas come quella che stiamo vivendo, questo gasdotto continua a essere il punto di forza di Putin. Potrebbe sembrare una contraddizione essere contrari all’avvio del progetto proprio ora che i prezzi energetici sono così alti, invece è parte della soluzione opporsi a una scelta che si è rivelata sbagliata fin dal principio per i motivi che ho illustrato.
G.B. Zorzoli 
presidente onorario del coordinamento Free

 

 

Di più su questi argomenti:
  • Maria Carla Sicilia
  • Nata a Cosenza nel 1988, vive a Roma da più di dieci anni. Ogni anno pensa che andrà via dalla città delle buche e del Colosseo, ma finora ha sempre trovato buoni motivi per restare. Uno di questi è il Foglio, dove ha iniziato a lavorare nel 2017. Oggi si occupa del coordinamento del Foglio.it.