Editoriali
Contrattazione: lezioni da Starbucks
Cosa possono imparare i sindacati dalle trattative interne del gigante del caffè
Starbucks, il gigante americano dei coffee bar con 30 mila punti vendita nel mondo, 330 mila dipendenti, 23,5 miliardi di fatturato e 930 milioni di utile, è in agitazione dai piani bassi a quelli alti. I primi con un’iniziativa che parte da Buffalo nello stato di New York decidono oggi se costituire un sindacato interno, farsi rappresentare dalla vecchia Afl-Cio cui i dipendenti di bar e pub sono formalmente affiliati, o continuare ad affidarsi a relazioni e contratti personali. Ai piani alti il ceo Kevin Johnson, che ha scritto ai dipendenti una lettera per invitarli a non costituire un sindacato – pur lasciando libertà di scelta – proprio mentre si tengono le prime consultazioni in 19 Starbucks che potrebbero preludere ad altri 80, sotto la supervisione del National labor relations board, l’agenzia governativa del diritto del lavoro.
“Per favore votate e votate no per proteggere ciò che più amate e amiamo di Starbucks” ha scritto l’azienda ricordando come siano già previste 5 mila nuove assunzioni e aumenti salariali. La vicenda segue di poco quella di Apple dove i vertici aziendali hanno riconosciuto agli 80 mila dipendenti la scelta se unirsi o no in sindacato. Insomma, in un paese dove i lavoratori sindacalizzati sono orma il 10 per cento del totale e appena l’1,2 nel settore dei servizi alimentari, si tratterebbe di un ritorno a un secolo fa quando le “leghe” dai direttori d’orchestra ai confezionatori di sigari erano centinaia, e influenti sulla politica.
La vera contraddizione di queste iniziative è che chi lavora da Starbucks, o fa il venditore da Apple, non lo considera come l’inizio di una carriera ma un breve passaggio. Ben diversamente da altri sindacati, come le compagnie aeree e i dipendenti pubblici, che qualche potere l’hanno mantenuto. Vista dall’Europa e dall’Italia la vicenda ha un’altra singolarità: qui il sindacalismo più riformista è nelle aziende, non nelle confederazioni. Ma è anche vero che rispetto alla sinistra europea e italiana quella radical americana è molto più massimalista e ideologica (Joe Biden ne sa qualcosa).
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