Agenda Lindner

Di cosa devono parlare Liberali e Verdi per trovare un accordo

Giovanni Boggero

Ambiente, Europa e lavoro: non c'è accordo su questi temi tra i liberali tedeschi e i verdi. I due partiti minori premiati dalle urne in Germania si preparano adesso a dialogare per assicurare un governo al paese, ma la strada verso un nuovo esecutivo è ancora lunga e piena di incognite

Otto anni dopo la rovinosa débâcle che li condannò fuori dal Parlamento per la prima volta dal 1949, i liberali tedeschi dell’Fdp sono tornati determinanti per la formazione dell’esecutivo a livello federale. La ripartizione dei seggi nel nuovo Bundestag, la Camera bassa, impedisce, infatti, al gruppo di maggioranza relativa, l’Spd di Olaf Scholz, di governare da solo o con i propri tradizionali alleati, gli ecologisti di Bündnis 90/Die Grünen. Il ruolo del kingmaker spetta, dunque, a tutti gli effetti ai liberali, guidati ormai da quasi un decennio da Christian Lindner, quarantenne delfino del compianto ex ministro degli Esteri Guido Westerwelle. Quella che, a prima vista, è una posizione di forza rischia, tuttavia, di nascondere ben più di una debolezza.

 

 

La classe dirigente liberale teme, infatti, che, una volta al governo, il partito possa essere risucchiato dal vortice rosso-verde proprio come avvenne ai tempi della coalizione con la Cdu/Csu di Angela Merkel tra il 2009 e il 2013. All’epoca, i compromessi che i liberali furono costretti a digerire ne alterarono talmente l’immagine da rendere la loro presenza al Bundestag non più indispensabile per gran parte dell’elettorato. Al termine di quell’esperienza, nella quale l’Fdp non riuscì a concordare con gli alleati una radicale riforma del fisco e mostrò un atteggiamento troppo accondiscendente nei confronti della politica dei salvataggi per la Grecia, il partito finì per capitolare, fermandosi al 4,7 per cento, sotto la soglia di sbarramento. Ritemprati dalla guida della nuova leadership e alimentati dalla rinnovata esigenza di una formazione politica non ostile all’economia di mercato, i liberali sono rientrati in Parlamento nel 2017, trovandosi subito a dover intavolare trattative con Cdu/Csu ed ecologisti per la formazione del terzo gabinetto Merkel. La paura di rimanere “scottati” di nuovo, per giunta in una coalizione inedita e dopo ben quattro anni di assenza dai banchi parlamentari, suggerì a Lindner di ritirarsi improvvisamente dai negoziati e collocarsi prudentemente all’opposizione dell’ennesima Große Koalition.

 

 

Oggi, dopo aver consolidato il proprio livello di consenso, specie tra i giovani under-30 e tra i neoelettori delusi dalla Cdu/Csu, l’Fdp pare nelle condizioni per tornare a ricoprire incarichi di governo senza imbarazzi o complessi di inferiorità. Allo stato, l’ipotesi della coalizione semaforo (rosso dei socialdemocratici, giallo dei liberali, verde degli ecologisti) è la più accreditata nelle analisi della stampa germanofona. Nel corso del talk-show televisivo condotto dalla popolare presentatrice Maybrit Illner, l’ex vice-cancelliere e Ministro degli Esteri socialdemocratico, Sigmar Gabriel, ha condensato così il suo pensiero in proposito: “L’Spd, come primo partito, ha ricevuto l’incarico di governare, i Verdi vogliono governare, mentre i liberali ora devono governare”. Nessuna scusa, insomma: tirarsi indietro non è più possibile. Il rischio di essere fagocitati dalla popolarità del cancelliere è assai ridotto rispetto al passato, mentre, a differenza di quattro anni fa, i liberali hanno la giusta consapevolezza per passare direttamente all’azione.

  

  

Al Foglio un parlamentare liberale di lungo corso conferma, infatti, che saranno Christian Lindner e Volker Wissing (il segretario generale del partito) a incontrare per primi una delegazione dei Verdi così da poter elaborare un accordo di massima da sottoporre poi ai socialdemocratici. “Abbiamo imparato dagli errori del passato, non li ripeteremo”, osserva lapidario il parlamentare che vuole restare anonimo. Del resto, però, le differenze tra ecologisti e liberali sono molte, a partire da fisco, lavoro e futuro dell’Europa. Mentre i secondi restano fedeli all’idea di ridurre il carico fiscale, sono scettici su ulteriori passi verso l’integrazione europea e frenano su un aumento del salario minimo, i Verdi spingono per un maggiore intervento dello stato nell’economia, non da ultimo anche per far fronte al cambiamento climatico e alle sfide della politica energetica. Se i liberali hanno bisogno di mantenere la barra dritta sull’equilibrio di bilancio in Costituzione (che nell’Spd qualcuno vorrebbe smantellare), i Verdi chiedono a gran voce il phase-out dal carbone in tempi più rapidi (su cui, invece, l’Spd nicchia). L’attitudine al compromesso e la consapevolezza che, tirando troppo la corda, i socialdemocratici potrebbero riaprire la porta alla Cdu/Csu (magari senza Armin Laschet) lasciano intendere che una soluzione, senz’altro prima di Natale, si troverà.

 

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