La variante Hemmati

Tatiana Boutourline

In Iran l’ex governatore della Banca centrale prova a scardinare un’elezione già decisa

Da 48 ore, nella sonnolenta campagna elettorale iraniana, si è accesa la stella dell’economista Abdolnaser Hemmati,  ex capo della Banca centrale di Teheran che si candida a incarnare il  moderatismo alla Rohani, l’attuale presidente. “Potrebbe essere il nostro Mario Draghi,” ha vagheggiato un commentatore e mentre l’hashtag #Hemmati (in farsi) iniziava a scalare i social network,  gli analisti ripescavano un articolo comparso a febbraio su Foreign Policy  (“Il dialogo tra America e Iran fallirà a meno che al tavolo non ci sia Abdolnaser Hemmati”). Sessantacinque anni, ideologicamente vicino al defunto kingmaker Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, pochi giorni fa Hemmati si è presentato sul secondo canale della tv pubblica annoverandosi come “la voce del popolo”. Non corro contro gli altri sei candidati alle presidenziali – ha spiegato, sfoderando un piglio piuttosto sicuro per un neofita – io voglio combattere contro “la rabbia della gente che volta le spalle alle urne”.


Vendere la speranza agli iraniani è un po’ come vendere la neve agli eschimesi, ma a giudicare dall’accelerazione della campagna di Hemmati, il cosiddetto fronte pragmatico pare intenzionato a provarci, a polarizzare il confronto in uno scontro a due, Hemmati vs Ebrahim Raisi. Sabato sera, l’ex governatore (2018-2021, Hemmati è stato congedato dopo la formalizzazione della candidatura) ha tenuto banco su Clubhouse per più di tre ore ed è parso molto a suo agio tanto nel fustigare il rivale ultraconservatore Raisi, tanto nel promuoversi come uomo della provvidenza delle finanze iraniane. 


“Ho avuto successo alla Banca centrale. Sarebbe un vantaggio avere un presidente-economista, non pensate?”. E subito dopo ha puntualizzato di credere nel libero mercato e nell’utilità delle privatizzazioni e soprattutto di considerare l’accordo sul nucleare, la sospensione delle sanzioni e l’adesione alle norme antiriciclaggio del Faft (Financial Action Task Force) come passaggi essenziali per il rilancio dell’economia iraniana. 


Più o meno nelle stesse ore è comparsa in televisione la moglie, Sepideh Shabestari, che ha colpito sia per l’affabilità sia per il modo in cui era vestita: un foulard celeste a fiori stampato, che non sarebbe potuto essere più diverso del chador nero integrale con cui è stata intervistata la figlia di Raisi. Si fida della moglie e la stima enormemente, hanno spiegato dal quartier generale di Hemmati. “Non può esserci futuro senza il contributo delle donne. Nella mia amministrazione saranno valorizzate”, ha promesso, e su Twitter sono piovuti gli elogi. “E’ il candidato meno misogino della campagna elettorale”, ha commentato una signora, rimarcando il fatto che Hemmati si è esposto pure per criticare il modo in cui le donne in Iran vengono tormentate dalla polizia per come indossano il velo. 

 

Ahmad Khatami, un membro del Consiglio dei guardiani, lo ha invitato a non dire cose “senza senso” e altri falchi gli hanno ricordato che anche i candidati approvati possono essere squalificati “fino all’ultimo momento”. Chi lo conosce bene assicura che Hemmati non è un cuor di leone, che l’establishment lo sa e che se l’ex capo della Banca centrale è in corsa è solo come simbolo (perdente) del fallimento di Rohani. Altri commentatori sottolineano che sebbene le possibilità di Hemmati siano risicate, se il blocco riformista spingesse la sua candidatura ricompattando i suoi mille rivoli, se la performance di Hemmati ai dibattiti previsti il 5, l’8 e il 12 di giugno fosse non buona, ma ottima, se le stime sull’affluenza alle urne fossero sconfessate (più bassa è l’affluenza più è favorito Raisi), allora potrebbe avere una chance. Ma si tratta molto probabilmente di troppi “se”

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