gli amanti

C'è un flirt molto chiacchierato tra il New York Times e Facebook

“Una volta che gli organi di informazione prendono una qualsiasi somma di denaro da Fb, diventa difficile tornare indietro. Creerebbe un buco nel bilancio. Però, poi, sei un po' in debito con loro”

Greta Privitera

La relazione speciale tra la testata e la piattaforma è iniziata quando Zuckerberg ha creato la sezione news. Ma per il quotidiano ci sono degli aspetti pericolosi, primo tra tutti la perdita di credibilità. Una soluzione potrebbe esserci e ci sta lavorando il Congresso 

Chiariamo subito: Facebook non è il male assoluto, nonostante gli sbagli (leggi anche: fake news) e le furberie (leggi anche: privacy). Ma è bene ricordare che quando parliamo del social di Mark Zuckerberg non abbiamo a che fare con la Giovanna D’Arco dell’Internet: tutte le scelte sono economiche e di filantropico c’è davvero poco. Anche quando i suoi top manager ci dicono cose tipo: “Il giornalismo è importante per una società democratica, motivo per cui creiamo strumenti dedicati e gratuiti per supportare le testate giornalistiche di tutto il mondo”. 

 

A ricordarci quanto sia necessario vigilare sui rapporti tra Big Tech e l’editoria - luogo in cui la pluralità di pensiero dovrebbe ancora essere sacra - c’è una lunga inchiesta dal titolo “Facebook si sta comprando il New York Times?”, del Washington Monthly, il giornale che ha come direttore Paul Glastris, ex speechwriter di Bill Clinton. Il giornalista Dan Froomkin indaga sul rapporto dell’azienda di Menlo Park con le principali testate americane e si sofferma su una relazione speciale, quella con il quotidiano di New York, che Mathew Ingram, della Columbia Journalism Review, definisce “da amanti”.

 

Facciamo un passo indietro. Nel 2019, Facebook ha lanciato negli Stati Uniti Facebook News, quella sezione dedicata alle notizie fatta di partnership con editori scelti, promettendo una maggiore diffusione dei loro contenuti e un’informazione più di qualità. Un anno e mezzo dopo, non si capisce ancora bene quanto questa sezione sia usata dagli utenti, la portavoce del social Mari Melguizo rimane vaga: "Non abbiamo numeri precisi. È decisamente cresciuto e continua a crescere”. In effetti è appena arrivato nel Regno Unito e sta per fare il suo esordio in Germania e Francia. Però, secondo il Washington Monthly, Facebook News sarebbe stata la scusa perfetta per incanalare denaro verso i più grandi giornali americani, prosciugando e rischiando di uccidere una volta per tutte il resto della stampa, soprattutto quella locale.

 

Con Facebook News l’azienda di Mark Zuckerberg ha potuto dare il via a dei pagamenti multimilionari annui ad aziende come The New York Times, The Washington Post, The Wall Street Journal, ABC News, Bloomberg e tanti altri. Il giornale di Paul Gastris scrive che per volontà di Facebook i termini esatti di questi accordi rimangono segreti, ma il Wall Street Journal ha riferito che si tratta di un numero che gira intorno ai 3 milioni di dollari l'anno. In una recente intervista, l'ex CEO del New York Times, Mark Thompson, ha raccontato ben altro: “Il Times prende molto, molto di più di 3 milioni di dollari all'anno, moltissimo". Allora il Washington Monthly ha tirato fuori la calcolatrice: se nel 2020 il reddito netto del NYT è stato di 100 milioni di dollari netti, ottenere  moltissimo di più di 3 milioni di dollari all'anno è significativo. La risposta è piuttosto ovvia, e arriva da Ingram, della Columbia Journalism Review: “Una volta che gli organi di informazione prendono una qualsiasi somma di denaro da Facebook, diventa difficile tornare indietro. Creerebbe un buco nel bilancio. Però, poi, sei un po’ in debito con loro”. Ingram dice che non si tratta di mazzetta, ma è come se il New York Times così rischiasse di diventare una sorta di amante di Facebook, un amante mantenuto. 

 

Non c’è prova che questo rapporto influenzi le scelte editoriali del quotidiano, tutto il mondo del giornalismo americano è innaffiato in qualche modo dal denaro di Facebook e Google. Ma questo tipo di accordo ha dei lati pericolosi: crea conflitti d’interessi, rosicchia la credibilità del giornale e come dice Rasmus Kleis Nielsen, direttore del Reuters Institute for the Study of Journalism, poi diventa difficile criticare l’azienda che ti finanzia, “potrebbe sembrare ipocrita”. E soffoca i giornali più piccoli, esclusi dal mercato. È chiaro che questi accordi con le testate più importanti degli Stati Uniti, sono anche il tentativo, a tratti disperato, dell’azienda di Zuckerberg di ripulirsi l’immagine sporcata negli anni dalle fake news  che sono circolate sul social che gli hanno fatto perdere utenti e attendibilità. Però, una soluzione per difendere la pluralità dell’informazione dall’attacco di Big Tech ci sarebbe. Il Congresso sta lavorando sul Journalism Competition and Preservation Act, un regolamento che darebbe a tutte le testate giornalistiche la possibilità di negoziare collettivamente con le grandi piattaforme. C’è anche chi suggerisce la creazione di un fondo giornalistico indipendente, finanziato dai colossi della tecnologia. Questo fondo dovrebbe essere meritocratico e premiare le testate aldilà del nome che il giornale riporta in prima pagina. 

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