Il virus del quattro maggio

Matthew Pottinger

Il Movimento del 1919 che portò alla nuova Cina, ma anche ai diritti universali dell’uomo. Gli eroi moderni censurati da Pechino. La versione di Pottinger, la mente di Trump in Asia

Pubblichiamo il discorso che Matt Pottinger ha pronunciato al Miller Center dell’Università della Virginia il 4 maggio scorso.


Buongiorno a tutti. Sono Matt Pottinger, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale, e sto parlando dalla Casa Bianca. Vi porto i cordiali saluti del 45° presidente degli Stati Uniti, Donald J. Trump.

 

Oggi ci riuniamo online, da mille luoghi diversi, perché la pandemia ancora ci impedisce di incontrarci di persona. Ma attraverso questa cosa meravigliosa che è internet, siamo riusciti a organizzare un gruppo ancora più grande come se non ci fosse un’emergenza di sanità pubblica. Nel piccolo e grande, tutti stiamo mettendo alla prova l’ingegno come americani, cinesi, come esseri umani, per superare le difficoltà e proteggere le nostre collettività.

 

Tra i “grandi” esempi di ingegno umano c’è l’uso delle biotecnologie e l’analisi dei dati per sviluppare terapie e vaccini. Tra i “piccoli” esempi ci sono i familiari che scoprono come tagliarsi i capelli se i barbieri sono chiusi. Mia moglie, che parlerà in un panel più tardi, è una virologa altamente qualificata. E’ una novità per lei avere il ruolo di barbiere di famiglia, come potete immaginare guardando i miei capelli.

 

Questa è la seconda volta che ho il privilegio di rivolgermi al pubblico del Miller Center dell’Università della Virginia. Quasi dieci anni fa sono stato invitato a parlare di ciò che avevo imparato durante il mio servizio nel corpo dei Marines e delle relazioni tra i nostri militari e i civili che difendono. Da quel giorno, non ho mai dimenticato il calore e la saggezza del direttore del Miller Center, il governatore Jerry Baliles, scomparso lo scorso ottobre dopo una vita al servizio pubblico della Virginia e della nostra nazione. Ringraziamo persone come Jerry.

 

Oggi sono stato invitato dai professori Harry Harding e Shirley Lin per condividere alcuni pensieri sulle relazioni tra America e Cina. Quando il professor Lin mi ha detto che questo evento si sarebbe tenuto proprio nel 101° anniversario dall’inizio dello storico Movimento del quarto maggio in Cina, sapevo di avere a disposizione un argomento potente per discutere della Cina di allora e di oggi.

 

Il 4 maggio 1919, dopo la fine della Prima guerra mondiale, migliaia di studenti universitari provenienti da tutta Pechino si sono riuniti in Piazza Tiananmen per protestare contro l’ingiusto trattamento che aveva ricevuto la Cina alla Conferenza di pace di Parigi. Le nazioni occidentali avevano scelto di rabbonire il Giappone imperiale concedendogli il controllo del territorio cinese occupato precedentemente dalla Germania, compresa la penisola dello Shandong.

 

Quel giorno, gli studenti cinesi che marciavano verso Tiananmen gridavano: “Restituiteci lo Shandong!” e “non firmare il trattato di Versailles!”. La polizia era intervenuta e aveva costretto gli studenti a disperdersi. Ma come spesso accade quando i governi chiudono le strade contro una manifestazione pacifica, alcuni manifestanti avevano fatto ricorso alla violenza. In una decisione di principio che teneva conto della rabbia dei cittadini, più tardi la Cina aveva rifiutato di firmare il Trattato di Versailles.

 

La Cina ha riguadagnato il controllo dello Shandong tre anni più tardi, con l’aiuto degli Stati Uniti che mediarono un accordo alla Conferenza navale di Washington del 1922. Ma il movimento nato grazie a quegli studenti esattamente 101 anni fa era molto più che l’indignazione nazionalista per un trattato ritenuto iniquo. Il Movimento ha galvanizzato un’antica battaglia sull’anima della Cina moderna. Come ha scritto John Pomfret nella sua storia delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, il Movimento del quarto maggio aveva come obiettivo la “trasformazione globale della politica, della società e della cultura cinesi”. “Mr. Science” e “Mr. Democracy” erano i motti del movimento che voleva traghettare la Cina nella modernità. Qualcuno l’ha definito “l’Illuminismo cinese”. Vera Schwarcz ha scritto un libro profondo con quel titolo. Ed esistono molti studi accademici sull’argomento. Almeno due autorevoli storici della Cina moderna stanno partecipando a questo evento oggi: Rana Mitter di Oxford e John Israel dell’Università della Virginia, e vi rimando a questi esperti per esplorare la storia e il significato del Movimento del quarto maggio.


Chi è che oggi in Cina incarna lo spirito del 4 maggio? Secondo me sono i cittadini consapevoli che compiono piccoli atti di coraggio


 

Io invece vorrei dedicare qualche minuto a raccontarvi la storia di alcuni eroi cinesi che credo rappresentino lo spirito del quarto maggio, oggi come allora. Hu Shih è identificato come uno dei leader più influenti dell’èra del quarto maggio. Era già un autorevole teorico della modernizzazione della Cina. La famiglia di Hu Shih veniva dalla provincia dello Anhui. Come Lu Xun e molti altri importanti scrittori della loro generazione, Hu Shih ha studiato all’estero. Dopo aver cambiato il suo indirizzo di studi alla Cornell, dove studiava agricoltura, alla filosofia, Hu Shih ha studiato alla Columbia University con il pedagogista americano John Dewey.

 

Hu Shih avrebbe così contribuito a uno dei più grandi doni del popolo cinese: il dono della lingua. Fino ad allora, la lingua scritta cinese era quella “classica”, con una grammatica e un vocabolario in gran parte rimasti invariati per secoli. Come molti possono dimostrare, il cinese classico sta al cinese parlato come il latino sta all’italiano moderno. L’inaccessibilità della lingua scritta rappresentava l’abisso tra i governanti e i governati - e questo era il problema. La parola scritta – e la sua alfabetizzazione - era di dominiio di una piccola élite al potere e degli intellettuali, molti dei quali aspiravano a diventare funzionari pubblici. Semplicemente l’afabetizzazione non era per “le masse”.

 

Hu Shih la pensava diversamente. Secondo lui il cinese scritto, sia nella forma sia nel contenuto, avrebbe dovuto corrispondere alle voci dei cinesi viventi piuttosto che ai documenti dei funzionari morti. “Parla nella lingua del tempo in cui vivi”, aveva scritto. Credeva che saper leggere e scrivere fosse importante per tutti. Ha avuto un ruolo chiave nel promuovere una lingua che fosse scritta con un linguaggio indigena, o baihua, letteralmente “linguaggio semplice”. Pensandoci oggi, la promozione del baihua da parte di Hu Shih è un’idea così banale che è stato facile non notare quanto fosse rivoluzionaria allora. Ed è stata anche molto controversa.

 

Gu Hongmin, un gentiluomo confuciano e professore di Letteratura occidentale all’Università di Pechino, ridicolizzava l’alfabetizzazione universale cinese e ciò che implicava. Nell’agosto del 1919 scrisse: “Immagina solo quale sarebbe il risultato se il novanta percento della [Cina], quattrocento milioni di persone, sapessero leggere e scrivere. Immagina solo quale sarebbe lo stato delle cose qui a Pechino se gli operai, gli stallieri, gli autisti, i barbieri, i commessi, i venditori ambulanti, i cacciatori, i vagabondi, [ecc.] diventassero tutti alfabetizzati e volessero prendere parte alla politica come gli studenti universitari”.

 

Lo sciovinismo elitario era - e alcuni potrebbero dire che persiste - un vento contrario che ostacola gli ideali democratici del Movimento del quattro maggio. Hu Shih, esercitando la lingua che aveva contribuito a dar vita, ha smantellato abilmente le argomentazioni contro l’estensione del contratto sociale. “L’unico modo per avere la democrazia è avere la democrazia”, ha detto Hu Shih. “Il governo è un’arte e come tale ha bisogno di pratica”. Hu Shih non aveva tempo privilegiato.

 

Comunque i leader del Quarto maggio finirono sfiniti dalle accuse, talvolta mosse da funzionari del governo o dai loro delegati tra gli intellettuali, secondo cui il movimento era ferventemente filo-occidentale, non abbastanza cinese o comunque non patriottico.

 

La vita e il lavoro di P.C. Chang aveva come obiettivo quello di prendersi gioco dell’idea che gli ideali del 4 maggio non fossero abbastanza “cinesi”. Così come il suo amico Hu Shih, Chang aveva studiato negli Stati Uniti con una borsa di studio. Affascinato dal teatro, è stato il primo ad adattare per il palcoscenico la storia tradizionale cinese di Mulan. Ha portato spettacoli occidentali alla Nankai University, che suo fratello aveva aiutato a fondare. E ha organizzato un tour negli Stati Uniti dalla star dell’Opera di Pechino Mei Lanfang, trasformando musica e danza per i gusti occidentali. Nella filosofia cinese della coltivazione morale e della rigorosa educazione, Chang vedeva vantaggi che potevano essere combinati con idee occidentali per dare vita a qualcosa di nuovo.

 

Tutto ciò culminò in quello che è considerato il coronamento dei successi di Chang: il suo decisivo contributo alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il documento redatto dopo la Seconda guerra mondiale da un panel internazionale presieduto da Eleanor Roosevelt. Chang, che all’epoca era un diplomatico di lungo corso che rappresentava la Cina, era membro di quel panel. L’obiettivo della dichiarazione era quello di prevenire il dispotismo e la guerra obbligando moralmente i governi a rispettare i diritti fondamentali. I diritti sanciti nella dichiarazione del 1948 comprendono la vita, la libertà e la sicurezza, il diritto di non essere ridotto in schiavitù o sottoposto a tortura, il diritto alla libertà religiosa, il diritto alla libertà di pensiero.

 

“Sposando i princìpi occidentali del primato dell’uomo con le preoccupazioni cinesi per un bene più grande” Chang ha aiutato a scrivere un documento che sarebbe stato rilevante per tutti i paesi, ha scritto John Pomfret. Una Dichiarazione sui diritti dell’uomo non riguardava semplicemente i diritti dell’individuo, secondo Chang. Riguardava anche gli obblighi dell’individuo nei confronti della società.

 

Qualche anno dopo l’adozione della Dichiarazione da parte delle Nazioni Unite, Chang si è dimesso da diplomatico, turbato dalla mancanza di democrazia in Cina. Per individuare il problema, è facile immaginare P.C. Chang che chiede di leggere più attentamente non l’antica filosofia greca ma degli ideali tradizionali cinesi sulla leadership virtuosa. Il cliché secondo cui il popolo cinese non poteva fidarsi della democrazia era, come P-C. Chang e Hu Shih sapevano, l’idea meno patriottica di tutte. Taiwan oggi è un ripudio vivente di quella menzogna logora.

 

Quindi, chi è che oggi in Cina incarna lo spirito del 4 maggio? Secondo me gli eredi del 4 maggio sono i cittadini consapevoli che compiono piccoli atti di coraggio. E a volte anche grandi atti di coraggio. Il dottor Li Wenliang era una di queste persone. Il dottor Li non era un capopopolo alla ricerca di una nuova ideologia che potesse salvare la Cina. Era un oculista e un giovane padre che ha commesso prima un piccolo atto di coraggio e poi un grande atto di coraggio. Il suo piccolo atto di coraggio, alla fine di dicembre, è stato avvertire via WeChat i suoi ex compagni della facoltà di Medicina che negli ospedali di Wuhan si stavano presentando pazienti con un nuovo virus pericoloso. Voleva invitare i suoi amici a proteggere le loro famiglie.

 

Quando il suo avviso ha iniziato a circolare più di quanto volesse, il dottor Li si è preoccupato, e aveva buone ragioni per esserlo. Le autorità del suo ospedale lo hanno rimproverato per aver parlato dei casi di coronavirus. Poi è stato poi interrogato dalla polizia, costretto a firmare una “confessione”, hanno minacciato di perseguirlo penalmente se avesse parlato ancora. Chi fosse tentato di credere che sia stato solo il caso di un poliziotto locale troppo zelante, prenda nota: il governo centrale cinese ha diffuso una storia sui “pettegolezzi” del dottor Li.

 

Poi il medico ha compiuto una grande azione di coraggio. E’ uscito allo scoperto, raccontando la sua esperienza di essere stato messo a tacere dalla polizia. Il mondo intero lo ha ascoltato con attenzione. A quel punto, il dottor Li aveva già contratto la malattia di cui aveva parlato. La sua morte, il 7 febbraio, è stata vissuta come la perdita di un familiare per le persone di tutto il mondo. Il commento del dottor Li a un giornalista dal suo letto di morte risuona ancora nelle orecchie di tutti noi: “Penso che in una società sana dovrebbe esserci più di una singola voce e non approvo le interferenze eccessive dell’autorità pubblica”. Il dottor Li ha usato “il linguaggio semplice”, come Hu Shih, per sostenere un punto di vista pratico.

 

Ci vuole coraggio per parlare con un giornalista – o per fare il giornalista – in Cina, oggi. E’ difficile anche trovare un giornalista investigativo in Cina, straniero o locale. Alcuni giornalisti che hanno cercato di far luce sull’epidemia di Wuhan sono scomparsi, come Chen Qiushi, Fang Bin e Li Zehua. Negli ultimi mesi sono stati espulsi più giornalisti stranieri di quelli cacciati dall’Unione sovietica nel corso dei decenni. Il dottor Ai Fen, un collega del dottor Li Wenliang che come lui ha lanciato l’allarme a Wuhan, secondo quanto si apprende non può più apparire in pubblico perché ha parlato con un giornalista.


“Mr. Science” e “Mr. Democracy” erano i motti del movimento che voleva traghettare la Cina nella modernità 


Quando questi piccoli atti di coraggio vengono soffocati dai governi, poi seguono grandi atti di coraggio. Di recente abbiamo li abbiamo visti compiere da persone che perseguono gli ideali che Hu Shih e P.C. Chang hanno difeso un secolo fa. Alcuni sono politici, altri hanno dedicato la loro vita a Dio. Altri ancora seguono la lunga tradizione degli intellettuali come coscienza della Cina. Molti sono cittadini comuni. Xu Zhangrun, Ren Zhiqiang, Xu Zhiyong, Ilham Tohti, Fang Fang, i venti sacerdoti cattolici che si sono rifiutati di sottomettere Dio al Partito comunista, e i milioni di cittadini di Hong Kong che lo scorso anno hanno manifestato pacificamente in difesa dello stato di diritto. L’elenco è ancora lungo.

 

Il Movimento del 4 maggio entra oggi nel secondo secolo, e quale sarà il suo lascito? E’ una domanda alla quale possono rispondere soltanto i cinesi. Il Movimento appartiene a loro. Le aspirazioni democratiche del Movimento rimarranno insoddisfatte ancora per un altro secolo? Le idee che lo ispiravano verranno cancellate o distorte dalla censura e dalla disinformazione? I suoi eroi saranno bollati come “antipatriottici”, “pro America”, “sovversivi”? Sappiamo che il Partito comunista farà del suo meglio affinché questo avvenga. Dopotutto, Mao Zedong tollerava a malapena anche Lu Xun, lo scrittore moderno più celebre della Cina, e uno dei pochi eroi del Quattro maggio la cui opera non era stata pesantemente censurata dal Partito. Nel 1957, un funzionario di nome Luo Jinan domandò al presidente Mao: “E se Lu Xun fosse vivo oggi?”. La risposta di Mao su quell’eroe nazionale sorpresemolti: “Potrebbe essere in prigione, oppure a scrivere, oppure potrebbe tacere”.

 

Chi ha la forza di cercare e di dire la verità in Cina, oggi, può trovare conforto in alcune parole scritte da Lu Xun: “Le bugie scritte con l’inchiostro non possono mai mascherare fatti scritti con il sangue”.

 

Un’ultima considerazione, da una prospettiva americana: è noto che Hu Shih preferisse risolvere problemi concreti invece di crogiolarsi nella teoria politica astratta. Lasciatemi però infrangere la sua regola contro le discussioni per “ismi”, e lasciatemi domandare se la Cina di oggi non trarrebbe beneficio da una dose minore di nazionalismo e una maggiore di populismo. Il populismo democratico non riguarda tanto la sinistra contro la destra quanto l’alto contro il basso. Si tratta di ricordare ad alcuni che per governare hanno bisogno del consenso di molti. Quando una minoranza privilegiata si allontana e si interessa soltanto di sé, è il populismo a tirarla indietro e svegliarla. E’ un’energia cinetica. Il populismo ha condotto il voto per la Brexit nel 2015 e le elezioni del presidente Trump nel 2016. Ha spinto il fondatore della vostra università a firmare una dichiarazione di indipendenza del 1776. E’ un monito per i potenti di questo paese, perché si ricordino per chi devono lavorare: per l’America, prima di tutto.

 

Non è un’idea simile quella che batteva nel cuore del Movimento del quattro maggio? La riforma della lingua di Hu Shih non è stata forse una dichiarazione di guerra contro l’aristocrazia? Non era un attacco contro la struttura del potere confuciano che imponeva la conformità sul libero pensiero? L’obiettivo non era forse quello di ottenere un governo, in Cina, che si ispirasse ai suoi cittadini, e non di sostituire un regime con un altro? Il mondo è in attesa delle risposte del popolo cinese.

 

Grazie.