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“Da tempo, in maniera silenziosa, siamo usciti dal regime democratico e liberale”

Pierre Manent analizza la crisi inedita che stiamo vivendo e il ritorno dei “tratti meno piacevoli del nostro stato”

Ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


  

Le Figaro – La crisi che stiamo vivendo sembra decretare un ritorno dello stato, dopo decenni di teorizzazione sul suo disimpegno. “Dobbiamo ricostruire la nostra sovranità nazionale ed europea”, ha persino ammesso il presidente Emmanuel Macron. L’idea di nazione sta forse facendo il suo gran ritorno?

 

Pierre Manent – In attesa dei “giorni che verranno dopo la crisi”, osserviamo il ritorno dei tratti meno piacevoli del nostro stato. In nome dell’urgenza sanitaria, è stato di fatto istituito uno stato d’eccezione. In virtù di questo stato, è stata presa la misura più primitiva e più brutale: il confinamento generale sotto sorveglianza della polizia. La rapidità, la completezza e l’allegria con le quali l’apparecchio repressivo si è messo in moto contrastano in maniera terribile con la lentezza, l’impreparazione e l’indecisione della politica sanitaria, in materia di mascherine, di test e di eventuali trattamenti. Multe esorbitanti puniscono degli sbagli innocenti o lievi. E’ vietato uscire da casa propria senza passaporto, ma il ripristino delle frontiere nazionali continua a essere considerato un peccato mortale. Non penso che questa crisi riabiliti questo stato. Quanto alla nazione, è stata abbandonata, discreditata e delegittimata da due generazioni a questa parte, così come è stata abbandonata, discreditata e delegittimata qualsiasi idea di politica industriale. Abbiamo rinunciato all’idea stessa di indipendenza nazionale (…). Scopriamo che siamo dipendenti dalla Cina per quasi tutto ciò di cui abbiamo bisogno? Ma siamo noi a esserci organizzati per essere dipendenti! L’abbiamo voluto! Crede che, quando usciremo esangui dalla distruzione economica provocata dalla crisi sanitaria, ci saranno molti volontari per risalire la china che scendiamo da quarant’anni a questa parte?

 

Come giudica la reazione dell’Unione europea a questa crisi? E più in generale, questa crisi è rivelatrice, secondo lei, della debolezza dell’occidente?

 

L’Unione europea e le nazioni che la compongono sono deboli. L’Unione ha assunto la sua ultima forma. O continuerà alla meno peggio sotto questa forma o si sfalderà. L’ordine europeo riposa sull’egemonia tedesca, un’egemonia accettata, se non addirittura apprezzata dal resto dell’Europa. La Germania si trova nella situazione più stabile e più favorevole in cui si sia mai trovata. Le basta il suo peso per dominare, non ha alcun bisogno di muoversi, o piuttosto ha bisogno di non muoversi. E’ ciò che non ha capito il presidente Macron, che sfinisce i tedeschi con le sue incessanti domandi di iniziative comuni. Le varie nazioni sono tornate a casa loro. E’ la fine del bovarismo europeo. Nessuna meravigliosa avventura ci attende dal lato europeo della strada. Ogni nazione ha scoperto il carattere irriformabile del suo essere collettivo. Liberi dal sogno frustrante di “più Europa”, possiamo ritrovare una certa affezione per quello che siamo, provare a rafforzarci a partire dal nostro essere nazionale, nutrire pazientemente le nostre risorse, siano esse economiche, militari, morali o spirituali. Questo desiderio di ritrovarsi e di rafforzarsi sarà salutare soltanto se sarà accompagnato da una lucida presa di coscienza della nostra reale debolezza, della debolezza in cui siamo caduti.

 

Lei pensa che le fondamenta stesse del liberalismo siano colpite da questa crisi? Il liberalismo riuscirà, secondo lei, a risollevarsi?

 

A essere colpite sono le fondamenta della globalizzazione che viene definita liberale, è la messa in concorrenza di tutti contro tutti (…). Questa ideologia ha fatto uso di alcuni temi liberali, ma il liberalismo è un’altra cosa che è importante preservare. Un regime liberale organizza la competizione pacifica per definire e mettere in pratica le regole della vita comune, e distingue rigorosamente tra ciò che appartiene alla leadership politica e ciò che rientra nel campo della libertà di intraprendere nel senso più ampio del termine, che include in particolare la libera circolazione delle influenze morali, sociali, intellettuali, religiose. Considerazione fondamentale: il regime liberale presuppone il quadro nazionale, non c’è mai stato un regime liberale al di fuori del quadro nazionale. Nell’ultimo periodo, il nostro regime ha conosciuto una corruzione che ha danneggiato tutte le classi: i ricchi, poiché ha favorito la finanza e la rendita, in particolare immobiliare, e ha incitato l’alta tecnostruttura a disinteressarsi della nazione fino a smarrire, talvolta, il senso del bene comune; i poveri e i modesti, perché ha disincentivato il lavoro attraverso l’erogazione di aiuti sociali in maniera indiscriminata.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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